ROMA. Talento, bravura, impegno, fisico. Certo, servono. Ma ci vuole anche «carisma» per diventare Roberto Bolle. Ed è proprio il ballerino piemontese a raccontare nello Zingarelli 2016, a cura di Mario Cannella e Beata Lazzarini (Zanichelli, pp. 2688 prezzi nelle varie versioni cartacee o elettroniche, da 81,00 a 13,10 euro), cosa significhi per lui questa parola. E così l'étoile, dopo aver esordito alla regia con La fabbrica dei sogni, debutta anche come creatore di una «definizione d'autore» alla voce «carisma». Altri «vip» lo hanno seguito, scrivendo riflessioni su parole che hanno a che fare con la loro professione o con il loro modo di essere. Risultato: cento piccole narrazioni o ricordi e riferimenti personali in libertà, punti di vista originali, inseriti nella voce lessicografica di riferimento nel più autorevole vocabolario della lingua italiana. Queste definizioni firmate vengono riportate insieme a una imprescindibile e precisa scheda lessicografica relativa allo stesso lemma. È nato così, in questi ultimi anni, all'interno dello Zingarelli un piccolo dizionario parallelo, nel quale, chi lo consulta, può trovare un suggerimento inatteso, uno sguardo laterale e nuovo, frutto di esperienza, studio, talento e sensibilità fuori dal comune. Ecco il carisma secondo un «angelo» come Bolle: «Quello che mi affascina del carisma è che non possiede un contrario. Esiste il contrario di leggerezza, di virtù, di talento. Ma di carisma no. C'è la sua assenza, ma non il suo contrario. E il motivo risiede nel fatto che esso è, appunto, un dono, una grazia, come conferma la sua etimologia greca. È quindi una luce che si ha o no. Ma come ogni dono, il carisma va curato, lavorato, nutrito. Altrimenti muore». È facile affibbiare alla scrittrice Elena Ferrante la definizione di «identità», lei che da tutte fugge e si avvolge nel mistero: «L'identità è la colla della molteplicità», fa sapere. «Separarsi da “io sono io” almeno per un po', uscire da quel recinto specialmente nelle attività di invenzione o reinvenzione del mondo, apre uno spazio sterminato dove niente e nessuno resta identico e poi identico e poi ancora e sempre identico». Loren uguale «bellezza», ca va sans dire: «La bellezza - scrive Sofia - è una fortuna e una condanna a un tempo. Ma è una condanna dolce, da prendere con leggerezza, perché in fondo nessuno è davvero possessore della propria bellezza: ognuno è bello nello sguardo degli altri». Del numero 10 riferisce Alex De Piero, portatore sano di quel numero sulla schiena come fosse un paio d'ali, di «provocazione» parla Maurizio Cattelan, la «trama» è affidata a Ivan Cotroneo, la «satira» a Michele Serra, il «dialetto» ad Andrea Camilleri. Che racconta: «Nella mia famiglia si parlava sia il dialetto sia l'italiano. Quando mi esibivo con dei raccontini a voce capivo di essere più efficace se usavo una lingua mista. Cominciai a chiedermi perché l'italiano non mi bastava e studiai come Pirandello faceva parlare i suoi personaggi. Più tardi mi colpì la sua affermazione: la lingua esprime il concetto, il dialetto il sentimento di una cosa. È diventata la base del mio scrivere». Di cosa fareste parlare Federica Pellegrini? Ma di agonismo, no? Sintetica: «Spalancare le porte della percezione fin dove la tua concentrazione lo consenta. L'agonismo è uno stato di grazia che ti obbliga a fare i conti con l'unico avversario contro il quale non puoi bluffare: te stesso». Per la velocità il prescelto è stato Valentino Rossi. Un estratto del suo pensiero: «Velocità come eliminazione dei tempi morti, del tempo perduto, della noia, talvolta. Velocità come sistema di vivere, di vincere, di stare al mondo, essendo il mondo in piena accelerazione». Tra i futuristi avrebbe avuto successo.