«Non sono disposto a parlare con Putin, un piccolo leader che uccide anche la sua gente», la soluzione per l’Ucraina «è la controffensiva: quando saremo al confine con la Crimea, il sostegno a Putin all’interno della Russia diminuirà e lui dovrà trovare una via d’uscita. Manca poco». Poche parole ma chiare quelle del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che ribadiscono la volontà di trovare una «pace giusta per l’Ucraina» ma chiudono la porta, per il momento, a qualsiasi mediazione. Anche quella che faticosamente da oltre quattordici mesi cerca di portare avanti il Vaticano.
«Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori, noi abbiamo bisogno di una pace giusta», dice ancora Zelensky dopo quaranta minuti di faccia a faccia con Papa Francesco, che pure invita a Kiev. Se mai ci può essere un piano di pace è solo quello «ucraino», e lui stesso ha chiesto al Papa di «unirsi alla sua attuazione».
Le dichiarazioni di Zelensky marcano una distanza che sembra incolmabile con quella diplomazia vaticana che vorrebbe portare le due parti, Ucraina e Russia, a sedersi attorno allo stesso tavolo. Il leader ucraino rimarca piuttosto di aver chiesto al Papa «di condannare i crimini russi in Ucraina, perché non può esserci uguaglianza tra la vittima e l’aggressore».
Solo i più ottimisti speravano che oggi in Vaticano si sarebbe aperto il processo di pace o comunque qualche spiraglio almeno per un cessate il fuoco, ma pochi forse immaginavano una chiusura a qualsiasi «via di incontro e sentiero di dialogo verso la pace» su cui il Papa aveva insistito proprio un paio d’ore prima di incontrare il presidente ucraino. Anche nelle comunicazioni del Vaticano, alla fine del confronto, la parola «pace» scivola così in secondo piano. «Il Papa ha sottolineato in particolare la necessità urgente di gesti di umanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto», ha riferito il portavoce Matteo Bruni sul colloquio a porte chiuse. E infatti l’unico risultato raggiunto oggi è proprio sul fronte umanitario, ovvero l’impegno assunto dal Papa sui bambi deportati. «Dobbiamo fare ogni sforzo per riportarli a casa», ha concordato il presidente ucraino.
Le differenze tra il Papa e Zelensky si erano notate già nello scambio dei doni: Francesco ha regalato un ramoscello d’ulivo in bronzo, simbolo della pace. Il presidente ha ricambiato con una piastra decorata estratta da un giubbotto antiproiettile. Francesco lo ha accolto con il picchetto d’onore delle guardie svizzere. Zelensky è arrivato, come d’altronde aveva fatto nell’incontro con la premier Giorgia Meloni e il presidente della Repubblica Mattarella, in tenuta militare. Certo, traspare anche una certa emozione in quel gesto del presidente ucraino che porta la mano al cuore quando vede l'anziano Papa che lo aspetta in piedi sulla porta. Ma quando si siede al tavolo del dialogo tira fuori due cartelle scritte forse per sfruttare al meglio l’occasione del colloquio, senza dimenticare nulla.
La giornata di Zelensky a Roma era cominciata al Quirinale con Mattarella. «Riconfermo il pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina sul piano degli aiuti militari, finanziari, umanitari e della ricostruzione, sul breve e lungo termine. Sono in gioco non solo l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche la libertà dei popoli e l’ordine internazionale», la rassicurazione del capo dello Stato. Poi la tappa a Palazzo Chigi, dove si è confermata la grande sintonia tra la premier e il presidente ucraino. «Continueremo a fornire sostegno, anche militare, perché l’Ucraina possa arrivare ai negoziati con una posizione solida. Questo è importante perché alla pace non si può arrivare con nessuna posizione di resa», ha scandito Meloni. Una promessa con la quale Zelensky può lasciare Roma soddisfatto. Appena atterrato in Italia d’altra parte aveva rimarcato che il suo obiettivo è la «vittoria» piuttosto che l'apertura di una difficile, ma «urgente», per usare la parola del Papa, via per la pace.
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