Il principe cadetto al fronte, il futuro erede al trono a casa: preservato dal rischio (almeno teorico) di morire in battaglia in nome della ragion di Stato e delle esigenze più immediate di garanzia della successione dinastica. Fu risolto così, già a fine 2001, il dilemma in casa Windsor su chi, fra William e Harry, figli allora adolescenti di Carlo e Diana, sarebbe stato spendibile in prima linea nella missione di guerra in Afghanistan fra i militari del contingente britannico schierato al fianco degli alleati nella sanguinosa campagna che in quei mesi si avviava contro i Talebani dopo l’attacco terroristico agli Usa dell’11 settembre. A rivelare retroscena, premesse e qualche dettaglio in più di una faccenda stranota negli esiti, è oggi il vecchio generale a riposo sir Mike Jackson, a quel tempo comandante dell’esercito di Sua Maestà, intervistato fra i testimoni di spicco d’un nuovo documentario firmato Itv dal titolo ‘The Real Crown’. La novità vera contenuta nelle parole di Jackson è che la regina Elisabetta II - scomparsa 96enne l’8 settembre 2022 per cedere la corona al primogenito Carlo III, ma all’epoca saldamente in sella - inizialmente manifestò in effetti l’intenzione di preparare entrambi i nipoti a partire per Kabul. Sono cresciuti “a mie spese, quindi devono fare il loro dovere", tagliò corto in un primo momento l’inflessibile nonna-sovrana, figlia di Giorgio VI e della Seconda guerra mondiale. Salvo tuttavia rivedere e correggere questa indicazione salomonica dopo le consultazioni di rito con gli alti comandi, i vertici dei servizi segreti dell’MI6, i supremi funzionari di corte. E convincersi che William - futuro re per volere del fato - andava protetto dal pericolo di cadere sotto il fuoco nemico; a differenza del minore Harry, considerato figura sufficientemente importante dal punto di vista simbolico per assicurare una presenza diretta della Royal Family ma evidentemente (per quanto mai esplicitamente) anche più sacrificabile, nella peggiore delle ipotesi, sotto il profilo di un potenziale vulnus alla continuità della dinastia. «Alla fine fu deciso che per William, erede al trono, il rischio era troppo grande; mentre per suo fratello minore era accettabile», la spiegazione freddamente pragmatica sintetizzata a posteriori da sir Mike. Con parole destinate, chissà, a rigirare il coltello fra le ferite dell’animo di Harry: fiero da sempre delle due missioni compiute valorosamente in divisa da elicotterista in terra afghana dal 2007 e poi dal 2012; ma anche a disagio con quell’etichetta di principe di riserva, se non ruota di scorta della famiglia reale (Spare, nel titolo della recente autobiografia bestseller grondante critiche e recriminazioni verso gli altri Windsor, William in primis), che la riesumazione delle memorie afghane sembra fatta apposta per risvegliare. A maggior ragione ad ascoltare il racconto di un secondo protagonista di quella stagione, sir John Scarlett, spia di lungo corso e numero uno dell’MI6 a metà anni 2000, stando al quale «Her Majesty the Queen» era ben conscia delle minacce a cui l’amato nipote più giovane - chiamato poi in Afghanistan a uccidere in prima persona diversi Talebani alla stregua di “pedine degli scacchi", come narrato nero su bianco e non senza polemiche fra le pagine di Spare - sarebbe stato esposto. «La regina - la sottolineatura dell’ex capo degli 007 - aveva completo accesso a tutto, a una straordinaria quantità d’informazioni e per più tempo di chiunque altro. Era discreta e al corrente di ogni dettaglio». Sebbene in realtà la sorte riservata a Harry non sia certo un unicum nella storia moderna della monarchia britannica. Come certifica l’atteggiamento che la medesima Elisabetta ebbe durante la guerra delle Falkland/Malvinas contro l’Argentina. Dove a rappresentare il casato in combattimento non esitò a spedire il principe senza scettro Andrea, suo secondogenito maschio (oggi in disgrazia) e figlio prediletto nella vulgata dei tabloid: salvaguardando viceversa Carlo, all’epoca delfino effettivo del Regno.