Per la sesta volta in un anno il mondo si riconta al Palazzo di Vetro e si schiera al fianco di Kiev, isolando Mosca con una risoluzione perentoria. Quattro i punti: «La necessità di una pace completa, giusta e duratura in linea con la Carta delle Nazioni Unite; l’impegno per la sovranità, l’indipendenza, l’unità e integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti; la cessazione delle ostilità e il ritiro immediato, completo e incondizionato delle forze militari russe dal territorio ucraino». Infine «la necessità di garantire la responsabilità per i crimini più gravi commessi sul territorio dell’Ucraina ai sensi del diritto internazionale». La mozione non è vincolante ma ha un alto valore politico e simbolico, anche perchè l’Assemblea Generale è diventata l’organo più importante dell’Onu che si occupa dell’Ucraina, visto che il potere di veto di Mosca continua a paralizzare il Consiglio di Sicurezza, che torna a riunirsi domani. Il voto dei 193 Paesi delle Nazioni Unite arriva alla vigilia del primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina, ma anche della presentazione del misterioso piano di pace cinese e dei colloqui informali «nella massima discrezione» in corso in Svizzera per mettere fine alla guerra, come ha rivelato il ministro degli Esteri elvetico Ignazio Cassis, avvisando però che una soluzione imminente è molto difficile «a meno di un miracolo». Fino all’ultimo momento restano l’incognita e la paura di un primo voto contrario dell’India, che finora si era astenuta, e del Mali, che rischia di spezzare la sostanziale unità del blocco africano. Un no di New Delhi - che compra energia e armi dalla Russia - sarebbe un grosso vulnus, considerando il lungo corteggiamento Usa e che il gigante asiatico ospiterà il prossimo G20. Ma dopo due giorni di dibattito e di scontri anche aspri, poco prima dello scrutinio finale i 75 Paesi co-sponsor dell’ultima risoluzione, tra cui l’Italia (rappresentata dal ministro degli esteri Antonio Tajani), prevedevano di incassare circa 140 sì, avvicinandosi all’esito delle tre precedenti mozioni più generiche di condanna della Russia (143 il record lo scorso ottobre). Con 20-30 astensioni - compresi la Cina, il Brasile e il Sudafrica - e sei no, tra cui alleati di Mosca come Bielorussia (che ha messo i bastoni tra le ruote proponendo emendamenti), Corea del Nord, Siria, Eritrea e Nicaragua. Si sarebbe aggiunto anche il Venezuela, che non ha votato perchè non in regola con le quote Onu, come il Libano che invece avrebbe votato sì. Mentre sollecitava l’Europa ad avere «un ruolo più attivo e costruttivo nella promozione dei colloqui di pace», Pechino è stata chiara al Palazzo di Vetro: «L’integrità territoriale deve essere rispettata, come pure i principi della Carta Onu. La priorità fondamentale però è facilitare il cessate il fuoco e la cessazione delle ostilità immediatamente», ha detto il vice ambasciatore cinese Dai Bing, ribadendo che «dialogo e negoziati sono l’unica via per risolvere la crisi». Kiev vuole vedere le carte di Pechino ma è scettica sulla proposta di pace cinese, temendo che «punti ad un congelamento della situazione attuale», come ha spiegato l’ambasciatore d’Italia in Ucraina Pier Francesco Zazo in un forum ANSA. E gli Usa lo sono ancora di più, tanto da minacciare di rivelare informazioni di intelligence che dimostrerebbero come Pechino stia considerando l’invio di armi alla Russia, mentre aumentano il pressing sul Dragone anche incrementando il numero di militari a Taiwan. Dopo la crisi dei palloni-spia, Joe Biden rischia di smarrire il dialogo con Xi Jinping nel tentativo di staccarlo da Vladimir Putin. E di dover fare i conti anche con un fronte europeo compatto finora nel sostenere Kiev ma diviso sul possibile esito del conflitto, con il blocco dell’est che vuole la capitolazione del Cremlino ed altri Paesi come la Francia e la Germania convinti, come gli Usa, che sia irrealistica una riconquista totale dei territori ucraini, a partire dalla Crimea.
Paura a Kiev
L’incredulità di quel giorno è diventata consapevolezza macchiata di sangue. Il terrore di quelle prime ore si è trasformato nella normalità di ogni giorno. E ora, dopo un anno di guerra feroce, la gente dell’Ucraina aspetta con il fiato sospeso che i russi celebrino a modo loro l’anniversario di un’invasione rimasta incompiuta, di un attacco che si doveva risolvere in giorni, se non in ore, e che si è trasformato in un pantano, quasi in una beffa, per l’armata di Putin. La battaglia sulla linea del fronte oggi è senza sosta, con perdite così enormi che sono difficili da calcolare, così come non è facile seguire il filo della strategia militare di Mosca, di quel Golia rimasto spiazzato dalla resistenza di Davide. L’intelligence di Zelensky, stando a fonti militari ucraine citate dalla stampa a Kiev, segnala che le truppe russe stanno preparando «provocazioni» vicino al confine della regione di Chernihiv, nell’Ucraina settentrionale, «con il movimento di colonne di soldati che indossano uniformi senza segni di identificazione e simili a quelle delle Forze Armate ucraine». Sono però giorni, se non settimane, che si parla di un’offensiva rafforzata, nell’est di fatto già in corso. A rassicurare gli ucraini in queste ore, forse, il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov secondo cui sì, un attacco è possibile, ma non sarà necessariamente su vasta scala. Intanto a Kiev le sirene oggi sono risuonate di nuovo, squarciando l’attesa. Ma una volta soltanto, e l’allarme è durato poco. Poi, come è consuetudine ormai, la conferma è arrivata prima attraverso i social: «Una forte esplosione è stata avvertita nella parte occidentale della città. L’allarme antiaereo è stato attivato pochi minuti prima dell’esplosione». Solo dopo ha parlato il portavoce dell’Aeronautica militare ucraina, Yuriy Ignat, affermando che la difesa aerea è entrata in azione per l’arrivo di un drone. E’ la nuova normalità della capitale ucraina, dove ci si mostra determinati a far sì che la vita scorra comunque. Nella capitale il piccolo negozio di alimentari è da anni nel seminterrato di un condominio costruito nel 1901. Da sempre è punto di riferimento per l’intero vicinato. Ma negli ultimi 12 mesi è stato molto di più: ad ogni sirena di allarme, in ogni notte passata al buio aspettando e temendo attacchi, ha aperto le sue porte agli inquilini dello stabile di quattro piani: 20 appartamenti in tutto, 20 famiglie, insieme a trovare conforto e a ripararsi dalle bombe. Marina lavora nel negozio da cinque anni e mai avrebbe immaginato che tra gli scaffali pieni di generi alimentari avrebbero trovato posto sedie, cuscini, scatoloni, coperte, per aiutare tutti. Nell’alimentari-rifugio si sono passate notti intere, alla luce delle candele. In fondo ai tre locali c’è una stanzetta dove Marina ha sistemato un letto e la valigia, «d’inverno qui fa meno freddo», spiega, mostrando che comunque è sempre tutto pronto, anche un anno dopo. «Un anno... e la mia valigia è ancora qui. Perché a volte io vado a casa ma quando ho paura resto qui a dormire. Certo che dopo un anno ormai tutto questo mi spaventa meno. Anche prima ero una persona con lo spirito forte e sono sempre rimasta forte. Che dire? Sono ucraina». Però poi ricorda quella notte, come del resto fanno tutti qui quando si chiede loro cosa provano un anno dopo, e comincia a raccontare che sua figlia, dalla loro città natale di Marganets, nella regione di Dnipro, quella notte la chiamò dicendo: “’Mamma, è cominciata la guerrà. E’ stato tremendo, avevo tanta paura, non sapevo cosa fare...». E si commuove. Marina si commuove perché, spiega, «guardi, lì mica è come a Kiev dove tutto sommato siamo più al sicuro (si conta sul sistema di difesa aerea che protegge la capitale, ndr). Lì quando scatta la sirena nei rifugi si va davvero, in qualsiasi momento». A Kiev questi 12 mesi sono stati come un unico giorno: «Un anno in un giorno, sembra un giorno lunghissimo, che non finisce mai». Non si ferma Marina, è un fiume in piena: «All’inizio è stato spaventoso, tutti avevano paura, le strade erano vuote. La gente non si vedeva per strada. Quasi niente macchine. Però la gente è diventata più unita!». Nel quartiere c’è anche una fornitissima farmacia. Olena ci lavora da prima della guerra. Il 24 febbraio dell’anno scorrso lo ricorda bene, ogni istante, e adesso ha «paura che possa tornare. Che si possa tornare indietro come al 24 febbraio. Oppure, anche peggio...». Olena spiega inoltre che lei è tra i pochi qui a Kiev che ad ogni sirena cerca rifugio: «E prediligo la metropolitana», perché a suo avviso resta il posto più sicuro. Non ci sono conferme ufficiali, ma che in queste ore la sicurezza sia rafforzata a Kiev si vede a occhio nudo, spiega chi conosce bene le dinamiche della città. Una presenza più massiccia delle forze dell’ordine, nuove telecamere di sorveglianza e anche i check-point sono aumentati in alcuni quartieri agli ingressi della capitale. Intanto in un’intervista alle tv locali il capo dell’amministrazione militare di Kiev, Serhiy Popko, sottolinea la sua fiducia nell’addestramento efficace delle forze dell’ordine locali. «L’esperienza di quest’anno ci ha insegnato cosa fare», negli ultimi 12 mesi “abbiamo avuto a che fare con tante cose che non avevamo considerato prima, per noi del tutto sconosciute. Adesso, dopo un anno, siamo preparati - spiega - e sappiamo quali sorprese possiamo aspettarci».
Cortei e concerti anche in Sicilia
In nome della pace tante le manifestazioni organizzate in Sicilia. In linea con le iniziative in programma nelle altre città italiane ed europee, coordinate da Europe for Peace, a Palermo sfilerà un corteo per la pace che partirà alle 9.30 da piazza Politeama per raggiungere, percorrendo via Dante, i Cantieri Culturali della Zisa. In piazza Pina Bausch si terranno gli interventi. Parteciperanno le ragazze e i ragazzi delle scuole di Palermo e gli studenti universitari che dicono no alla guerra. Sono finora 35 gli istituti di ogni ordine e grado, elementari, medie e licei che hanno aderito alla giornata di mobilitazione. È prevista la partecipazione di oltre un migliaio di studenti. Durante il corteo sventoleranno le bandiere della pace e scuole e associazioni saranno presenti con i loro striscioni. Prima, durante e dopo la manifestazione si alterneranno momenti musicali. A piazza Politeama, prima della partenza si esibirà l’orchestra di fiati del Conservatorio di Musica Alessandro Scarlatti e si terranno altre performance. Le bande di alcune scuole a indirizzo musicale suoneranno durante la marcia i loro tamburi. Ai Cantieri della Zisa si svolgerà un momento di condivisione e riflessione. La parola sarà data principalmente alle studentesse e agli studenti di scuole e università. Gli studenti presenteranno i loro componimenti, lettura di brani, poesie, testi teatrali e lanceranno messaggi, in diverse forme d’arte, inneggiando alla pace. Coordina gli interventi, a nome del comitato Europe for Peace Palermo, Daniela Dioguardi, dell’Udi, coadiuvata da Enza Pisa del coordinamento donne Cgil Palermo e da Francesco Lo Cascio della «Consulta per la pace, la nonviolenza, i diritti umani e il disarmo» di Palermo. Oggi e domani, inoltre, l’associazione nazionale «Liberi Oltre le Illusioni» organizzerà una serie di cortei che si svolgeranno in contemporanea nelle principali piazze italiane. In Sicilia, in accordo con il consolato ucraino e con il contributo di Viktoriya Prokopovych e Yuliya Dynnichenko, coordinatrici per la Sicilia Occidentale e Orientale, l’evento inizierà oggi con un corteo che partirà da piazza Politeama e attraverserà via Ruggero Settimo per fermarsi di fronte al Teatro Massimo dove Oksana Shepetko e la figlia canteranno una canzone in lingua ucraina. Alle 18 a Catania un’altra manifestazione si terrà in piazza Università. All’Università degli Studi di Enna “Kore” la mattina si terrà un seminario. Manifestazioni anche a Messina e a Campobello di Licata. E a Trapani «Un minuto di silenzio alle 12». Il vescovo Pietro Maria Fragnelli ha lanciato un appello perché uomini e donne di buona volontà del territorio si fermino per un minuto dalle loro attività per invocare la pace e come segno di solidarietà al popolo ucraino e a tutti i popoli vessati dalla guerra.