La più alta affluenza alle urne da decenni in Israele riporta Benyamin Netanyahu al potere. La maggioranza a totale trazione di destra, che ha guidato in questo anno e qualche mese dall’opposizione, è accreditata dagli exit poll delle maggiori tv di 61/62 seggi su 120 alla Knesset, tanti quanti gli servono per governare il Paese. «King Bibi» riconquista così nelle quinte elezioni in 3 anni lo scettro, relegando il blocco variegato del suo maggior avversario, l'attuale premier Yair Lapid, a 54/55 seggi. Una vittoria - se lo spoglio reale dei voti confermerà gli exit - che riporta al comando il più longevo premier della storia di Israele, ancor più del padre della patria David Ben Gurion. Il suo Likud ha avuto 30 seggi, il partito di Lapid 24. Il voto segna anche il boom del Sionismo religioso di Itamar Ben Gvir, il radicale di destra anti-arabo dalle venature razziste che vuole annettere l’intera Cisgiordania senza concedere diritti ai palestinesi, che intende attenuare le regole di ingaggio per soldati e agenti e picconare la Corte Suprema, baluardo della costituzionalità israeliana. Lui - e il suo sodale Bezalel Smotrich - sono accreditati di 14/15 seggi: una vittoria storica, secondo tutti gli analisti e i commentatori. Una vittoria che Ben Gvir ha già ipotecato, chiedendo nei giorni scorsi il ministero della Pubblica sicurezza. Sarà difficile per Netanyahu fare a meno di quei seggi, anche se Usa e Paesi del Golfo, con in testa gli Emirati Arabi, hanno ammonito l’ex (e futuro) premier che l’ingresso al governo di Ben Gvir non potrà che avere ricadute negative sugli Accordi di Abramo. Reggono poi i partiti religiosi, i Laburisti, la sinistra Meretz, il partito arabo islamista di Mansour Abbas (grande alleato di Lapid), mentre restano fuori i comunisti di Hadash Taal. Il dato eclatante è stato comunque quello dell’affluenza: alle 20 era al 66.3%, quasi 6 punti in più delle elezioni del marzo 2021. In ogni caso le urne più affollate dal 1999. Consci della posta in palio per sbloccare l’impasse politica che ha attanagliato Israele, tutti i partiti - nessuno escluso - hanno ripetutamente chiamato il proprio elettorato ad andare alle urne. A cominciare dal premier Yair Lapid che - dopo aver votato di buona mattina nel seggio vicino alla sua abitazione in un sobborgo di Tel Aviv insieme alla moglie Lihi - ha spronato gli israeliani ad esprimere le proprie scelte. «Andate e votate oggi per il futuro dei nostri figli e per quello del nostro Paese». Non è stato da meno Benyamin Netanyahu. Come fatto in tutte le elezioni passate, l’ex premier ha martellato dal suo sito Facebook chiamando incessantemente i sostenitori del suo Likud ad andare alle urne. Oggi ha fatto il giro di alcuni centri commerciali sostenendo che l’affluenza della sinistra era alta, mentre la destra è a far compere. Lo stesso pressing ha compiuto Ben Gvir, che ha addirittura affittato un elicottero per recarsi nella zona centrale del Paese. Ben Gvir - contro il quale tutta l’attuale blocco di Lapid ha fatto muro denunciandone quella che ha definito ideologia razzista e fascista - ha votato a Kiryat Arba, un insediamento ebraico in Cisgiordania. In serata l’appello finale sia di Lapid sia di Netanyahu: entrambi per mobilitare i propri elettori hanno sottolineato che i blocchi erano «testa a testa». Ma alla fine sembra averla spuntata il Mago, altro soprannome di Netanyahu. Ora - se i dati reali confermeranno gli exit pool - spetta al presidente Isaac Herzog avviare le consultazioni: e il nome in cime della lista è di nuovo quello di Benyamin Netanyahu.