Non si scappa e nessuno viene risparmiato. La regola adottata sui civili in fuga verso Kiev sulla strada principale M6 ha fatto decine di morti anche a Buzova, uno dei villaggi a nord della capitale. Qui la gente si è trovata sotto il fuoco e quasi al centro di una battaglia - forse lo scorso 16 marzo - tra i tank dei militari russi e ucraini. Lungo il tratto di sei chilometri non si sa quanti siano i civili riusciti a salvarsi. Forse nessuno. I cadaveri non ci sono più ma restano le prove della battaglia, con i tronchi degli alberi della foresta spezzati, i segni dei cingolati ancora impressi sul fango, i relitti dei tank e le stazioni di servizio distrutte. «Il 31 marzo abbiamo trovato una cinquantina di corpi lungo la strada, è stato l'esercito russo. Altre sessanta persone al momento non si trovano», dice il capo del villaggio di Buzova, Taras Didich, fermo ad una delle pompe di benzina coinvolte nel teatro di guerra. Alle sue spalle ci sono i corpi di due giovani ucraini, trovati all’interno di un pozzetto che era chiuso, appena recuperati per essere portati via. «Gli altri cadaveri sono in ospedale o all’obitorio, sono stati prelevati giorni fa per strada dagli stessi parenti delle vittime, ma erano lì almeno da una decina di giorni. Alcuni avevano i segni di colpi di fucile», aggiunge il funzionario ucraino. Forse non tutti gli avrebbero creduto se Didich non avesse mostrato le foto: sono i cadaveri di gente comune, che non indossa divise, a terra vicino allo sportello della macchina. Alcuni colpiti al volto, altri carbonizzati come le auto dalle quali forse erano riusciti solo a scendere. Tra loro probabilmente ci sono anche i corpi di soldati russi, ucraini e la cosiddetta «guardia di difesa del territorio»: forse tra gli scomparsi ci sono proprio loro, probabilmente catturati. E anche qui - riferiscono - alcuni dei morti avevano le mani legate dietro alla schiena: torture o esecuzioni. Adesso la strada è stata liberata e le macchine sfrecciano verso Kiev, ma i rottami dei carri armati attirano le persone che scendono dalle auto per fare video e scattare selfie davanti ai tank del nemico. Anche nel villaggio di Buzova le bombe non hanno risparmiato i luoghi fino a un mese fa ritenuti inviolabili. Sono stati distrutti il vicino ospedale e la scuola, dove in centocinquanta hanno aspettato terrorizzati che la pioggia di esplosivi finisse presto. «Qui si sono accaniti quattro volte e durante le prime tre c'era ancora gente intrappolata nel rifugio», spiega Yaroslav, vestito con la mimetica, la bandana che gli copre il volto e un fucile in spalla. Anche lui è una guardia di difesa territoriale e da quando i soldati russi se ne sono andati presidia i quattro piani della scuola, che ora ha le mura sventrate, i vetri delle finestre in frantumi e i banchi bruciati o sparpagliati tra corridoi e aule. Non a caso il nome di battaglia che hanno dato a Yaroslav è «il professore»: «Da piccolo - dice - ho frequentato questa scuola, adesso faccio la guardia ad un palazzo decrepito e vuoto. Ma se i russi tornano, noi siamo pronti». E intanto mostra i brandelli di metallo e le voragini lasciate dai missili che si trovano vicino al campetto e al parco giochi. Di fronte, a vedere sgretolarsi l’edificio sotto le bombe, c'era Ihor, rimasto da solo in casa mentre invece la sua famiglia è riuscita a scappare: «Si sono salvati perché sono andati via prima - spiega -. Qui non c'è stata l’occupazione, ma ricordo quando sono arrivati, dicevano dai tank che loro erano “venuti finalmente a liberarci”. Ma liberarci da cosa? Sparavano alle ambulanze vuote e intanto ci dicevano di arrenderci». La nuova guerra è così: la differenza tra auto e carri armati, civili e soldati, scuole e caserme, non esiste più. E trova la sintesi in un unico nome: il nemico.