Sabato 04 Maggio 2024

La guerra in Ucraina, la Russia annuncia una tregua a Mariupol

Una casa distrutta dalle bombe a Mariupol
Una casa distrutta dalle bombe a Mariupol
Katia, in fuga da Mariupol
Alexander, in fuga da Mariupol
Una foto diffusa dalla brigata Azov che accusa i russi di aver bombardato a Mariupol l’edificio contrassegnato da croce rossa
La fuga da Mariupol
Trokhizbenka, nel Luhansk
Un mercato a Kiev: si prova a vivere nella capitale
Kiev
Kiev
Militari ucraini nella “zona grigia“ della linea del fronte, nell’Oblast di Kiev
Fori di proiettile su un cartello stradale vicino a un villaggio nella “zona grigia“ vicino a Kiev
I soccorritori nel sito del negozio di alimentari colpito da missili a Brovery, a est di Kiev
Dal satellite: distruzione a Mariupol
Il seminterrato di un ristorante utilizzato come rifugio antaereo a Leopoli

Dovrebbe scattare tra poche ore l'annunciata tregua temporanea a Mariupol, città del sud dell’Ucraina martellata da settimane di intensi bombardamenti russi, mentre, domani, venerdì primo aprile riprendono i negoziati online fra russi e ucraini.ù Nel 36/o giorno del conflitto le forze armate di Putin sono infatti «pronte a dichiarare un cessate il fuoco temporaneo a partire dalle 10 del mattino, ora locale, esclusivamente per scopi umanitari, e ad aprire un ulteriore corridoio umanitario per l’evacuazione di civili e cittadini stranieri da Mariupol a Zaporizhzhya», ha dichiarato Mikhail Mizintsev, capo del Centro di controllo della difesa nazionale. Ma la Russia aprirà il corridoio solo a patto che l’Ucraina accetti formalmente per iscritto di rispettare diverse condizioni e confermi l’effettivo cessate il fuoco. Una tregua che potrebbe dare respiro agli abitanti della città portuale ucraina, dove nelle scorse ore le bombe russe hanno colpito un edificio della Croce Rossa e la sede della missione Ue. In un discorso in tv il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che i colloqui di pace con la Russia continuano «ma per il momento ci sono solo parole, niente di concreto». Zelensky ha dichiarato di non credere alle promesse della Russia di ridurre la sua presenza militare a Kiev. Quanto alla telefonata con il presidente Usa Joe Biden, ha riferito che il sostegno americano è vitale per il suo Paese e che «questo momento è un punto di svolta». Rispetto invece agli annunci russi su una de-escalation del conflitto in alcune regioni del Paese, il leader ucraino ha affermato di non credere a nessuno, aggiungendo che le truppe russe si stanno riorganizzando solo per attaccare nella regione orientale del Donbass. Questa mattina è atteso un suo videocollegamento con il Parlamento australiano. L’amministrazione Biden continua nel frattempo a valutare opzioni per ulteriori sanzioni contro Mosca, mentre confermando le indiscrezioni di stampa, la direttrice della comunicazione della Casa Bianca Kate Bedingfield ha precisato che Vladimir Putin sarebbe stato mal «informato» sull'offensiva russa dai capi delle forze armate e che avrebbe delle «tensioni» con alcuni suoi consiglieri. Sul terreno la tensione resta sempre altissima. Per il Pentagono le forze russe in Ucraina hanno iniziato il ritiro dalla zona della centrale nucleare di Chernobyl. Ma «non possiamo ancora dire se ne siano andati tutti», ha precisato un funzionario. Il sindaco di Irpin, nell’oblast di Kiev, Oleksandr Markushin, ha invece rivelato che «metà della città è stata distrutta e che le macerie non sono state rimosse». Nella regione di Mykolaiv si traccia un bilancio delle vittime dall’inizio dell’offensiva russa: 134 i civili uccisi, mentre il sindaco di Kharkiv, città dell’Ucraina orientale, Igor Terekhov, ha affermato che l’esercito russo ha distrutto il 15% degli edifici residenziali della città. Dalla Cina il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov lancia un monito agli occidentali riferendosi all’Afghanistan. Alla terza conferenza ministeriale dei Paesi vicini all’Afghanistan (Russia, Cina, Iran, Pakistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) il titolare della diplomazia di Mosca ha affermato che considera inaccettabile la presenza di qualsiasi infrastruttura militare statunitense o Nato nei paesi dell’Asia centrale al confine con l’Afghanistan.

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