Si ricordache quando vide quelle immagini Alfred Hitchcock ne rimasetalmente impressionato che per una settimana non si fece vedereagli Studios. Sono immagini fortissime, di orrore e dolore, maanche piene di empatia e umanità, quelle che compongono undocumentario sull’Olocausto alla cui realizzazione contribuì ilgrande regista e che fino ad ora sono state viste da pochissimi,ma che presto arriveranno anche in Tv.Sono rimaste per decenni custodite all’Imperial War Museum diLondra, dove erano arrivate dopo che la realizzazione del film- con pellicole girate anche quando nel 1945 furono aperti icancelli del campo di concentramento di Bergen - Belsen - non fuveloce abbastanza da tornare utile agli “obiettivi politici“ delmomento.
Non ne sarebbestato il regista e non è ad oggi chiaro esattamente in qualemisura Hitchcock contribuì alla realizzazione del film, ma nellavoro finito è chiarissimo -indicano gli esperti- che furonoseguite le sue idee per la costruzione del film.
La prima volta che se ne tornò a parlare erano gli anni ’80:un ricercatore americano scoprì le pellicole abbandonate in unpolveroso deposito del museo e riuscì a tirarle fuori e amostrarle, al festival di Berlino nel 1984 e nell’85 furonoanche trasmesse dalla tv pubblica americana Pbs. Il materialeperò era “sporchissimo“, come si dice in gergo, e rovinato daltempo. Adesso è stato restaurato con l’uso di tecnologiadigitale e montato. Tornerà quest’anno nelle sale per alcunifestival prima di venire distribuito nei cinema e trasmesso nel2015 dalla televisione britannica in occasione del 70moanniversario della liberazione dell’Europa dal nazismo.
Toby Higgith, curatore del museo Londinese, assicura che nonsi tratta di un film «sulla morte», ma ci sono immagini diricostruzione e riconciliazione, e soprattutto immagini di quelritorno alla vita che la fine del nazismo rappresentò: sivedono i deportati che, i cancelli dei campi ormai aperti, fannola prima doccia, che ripuliscono i loro vestiti, per rimettersiin cammino. Una testimonianza preziosa, «molto più candida dialtre», spiega ancora Haggith all’Independent, «che riesce arappresentare anche la speranza».
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