Era sempre fuggita da Palermo perché la faceva sentire prigioniera di una condizione che la soffocava e non percepiva come sua. Ma poi a Palermo è sempre ritornata, prigioniera di un amore tormentato, finito solo ora che Letizia Battaglia si è spenta a 87 anni.
Se n'è andata pochi giorni prima che la sua storia irrequieta, interpretata da Isabella Ragonese e raccontata in una fiction di Roberto Andò, venisse trasmessa dalla Rai. Letizia Battaglia ha lottato fino all’ultimo contro la malattia e le sofferenze fisiche. Non si era mai fermata tanto che la settimana scorsa aveva partecipato a Orvieto a un workshop di fotografia. E preparava altri viaggi anche all’estero per rispondere ai tanti inviti che ancora riceveva da ogni parte del mondo.
Il suo rapporto con la fotografia era cominciato tardi, nel 1971. Da poco era approdata a Milano, prima tappa di una carriera che ha toccato anche Parigi prima di virare ancora verso la Sicilia. Letizia Battaglia collaborava con qualche testata, ma doveva illustrare i suoi racconti con le immagini. Pier Paolo Pasolini fu il soggetto del suo primo scatto. Era una sfida che affrontò con caparbietà ma anche con grande intuito professionale.
La svolta della sua vita arrivò nel 1974. Rispose all’invito del direttore del giornale L’Ora, Vittorio Nisticò, e presto diventò una testimone della grande cronaca di Palermo e della Sicilia. Per contratto dovette riprendere i morti ammazzati, le mogli delle vittime e le sorelle disperate, le stragi.
Le foto di Letizia Battaglia erano icone drammatiche e simboliche delle vicende di mafia. Ma lo erano anche quelle che riprendevano i boss imputati nel maxiprocesso, Giovanni Falcone che raccoglieva le rivelazioni di Tommaso Buscetta, la figura di Giulio Andreotti accusato di avere avuto rapporti con Cosa nostra. Lo scatto più drammatico e più evocativo è quello che riprende Sergio Mattarella mentre cerca di soccorrere il fratello Piersanti abbattuto dai sicari della mafia.
L’archivio di Letizia Battaglia è diventato così una immensa galleria di personaggi ma anche un giacimento di memoria e di quella che Andò ha chiamato la «liturgia struggente» dell’Apocalisse palermitana. Non mancava in quel lavoro un forte impegno civile ma anche un senso di disgusto che portava Letizia Battaglia a cambiare spesso soggetti e a occuparsi soprattutto di donne e di bambine. Quando sembrava giunto il momento di lasciare a casa la macchina fotografica, Letizia Battaglia ha trovato altri stimoli per continuare il suo lavoro. Stavolta come testimone di una storia che nei suoi racconti parte quando, giovanissima, diventò mamma e per lei cominciò la grande avventura della vita.
Celebre, sullo sfondo delle miserie del quartiere della Kalsa, la foto della bambina con il pallone che riuscirà a ritrovare e ad abbracciare dopo 40 anni. Fotografie esposte in tutto il mondo e che le sono valse anche prestigiosi riconoscimenti internazionali come il premio Eugene Smith. Letizia Battaglia ha fatto la fotoreporter, raccontava, «con onore e disciplina». Non mancava mai gli appuntamenti con le grandi storie. Ma c'è stato un periodo in cui anche lei si è lasciata tentare dalla politica. Con i verdi fu nominata anche assessore al Decoro urbano in una delle giunte di Leoluca Orlando con il quale è rimasto un legame così forte da resistere alle scosse di polemiche volanti.
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