Gli oltre 12 minuti di applausi per il Macbeth di Giuseppe Verdi - che ha inaugurato la stagione del Teatro alla Scala - e i contrasti fra le approvazioni del pubblico per la direzione di Riccardo Chailly e per i cantanti e le salve di fischi e buu per la regia di Davide Livermore dal loggione hanno ridato a Milano la Scala di sempre, con le sue eterne polemiche, cancellando due anni di pandemia.
Se non fosse per le mascherine indossate rigorosamente da tutti gli spettatori, quello di quest’anno potrebbe essere scambiato per uno dei numerosi 7 dicembre scaligeri che tanto hanno emozionato in passato: l’opera trasmessa in diversi luoghi della città, la diretta tv sulla Rai e in tanti Paesi del mondo, gli ospiti importanti, la Milano che conta. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il presidente del Senato Casellati e i ministri della Cultura Franceschini e dell’Istruzione Bianchi. E poi Liliana Segre, Armani, Tronchetti Provera, Marina Berlusconi, Fedele Confalonieri e tanti altri rappresentanti del jet set ma anche del mondo del pop, con Cesare Cremonini, Alessandro Cattelan, Luca Argentero.
Il successo dello spettacolo è stato sottolineato dal pubblico in sala con calorosi applausi ad Anna Netrebko, per la sua interpretazione di Lady Macbeth, che ha lavorato molto sui colori vocali e la ricerca timbrica per avvicinarsi a una figura di donna che per questo personaggio Verdi voleva con «voce aspra, soffocata, cupa». Sonanti applausi per Luca Salsi, un Macbeth forte e vittorioso generale dell’esercito scozzese, ma debole d’animo e dominato dall’ambizione, che viene istigato dalla terribile Lady a commettere i più infami crimini cominciando col pugnalare nel sonno il suo re pur di prenderne il posto.
Molti applausi per Ildar Abdrazakov, Banco, l’altro generale, ucciso anch’egli dai sicari di Macbeth che, cosciente dell’orrore dei suoi delitti, è poi ossessionato dal suo fantasma. E approvazioni per gli altri interpreti: Francesco Meli (Macduff), Ivan Ayon Rivas (Malcom), Chiara Isotton, Andrea Pellegrini, Leonardo Galeazzi, Costantino Finucci, e soprattutto per un grande coro scaligero diretto da Alberto Malazzi.
Apprezzata e calorosamente applaudita la direzione di Riccardo Chailly, che nell’edizione critica dell’opera verdiana ha ripreso la morte in scena di Macbeth, presente solo nella prima edizione del 1847. La vicenda particolare raccontata da Verdi e dal librettista Francesco Maria Piave, ma prima ancora da William Shakespeare, si svolge nell’XI secolo, ma come tutti i grandi capolavori della letteratura e del melodramma affonda le sue radici nella storia dell’uomo e ne fa emergere gli eterni conflitti fra il bene e il male, fra la probità e il crimine. In questo, la vicenda di Macbeth è universale e la sua collocazione storica diventa indifferente perché potrebbe essere accaduta in ogni tempo e in ogni luogo. Le stesse streghe profetiche conferiscono al dramma un elemento di soprannaturale da sempre ricercato dall’uomo.
Ne è perfettamente cosciente Davide Livermore che colloca il Macbeth nella nostra epoca: i costumi di Gianluca Falaschi sono ispirati agli anni '40 del secolo scorso, le scene di Giò Forma utilizzano le tecnologie più recenti per rappresentare ambienti che ricordano le metropoli di oggi: uno skyline, forse quello di New York o di Singapore (ma in una scena c'è anche Milano, con il riferimento alla facciata di un edificio mai costruito, progettato dell’architetto Piero Portaluppi nel 1926), che si specchia in cielo o semplicemente è capovolto a indicare lo stravolgimento determinato dalla volontà criminale di Macbeth, che nel primo atto si presenta al volante di un’auto. Una realtà distopica che Livermore ha paragonato a quella evocata nel film di Christopher Nolan «Inception» (2010), thriller fantascientifico che esplora dimensioni oniriche e con effetti speciali indaga il subconscio umano per carpirne i segreti. Il regista cerca così di rendere lo sforzo verdiano di scavare nel subconscio dei suoi protagonisti per metterne in luce debolezze e nefandezze.
Scene e fondali sono realizzati su schermi giganteschi su cui vengono proiettate immagini, ferme o in movimento, sempre intense e coinvolgenti. Ma la rappresentazione della tragedia è resa anche attraverso i colori dei costumi: rosso intenso per Lady, nero o grigio per Macbeth, abiti chiari per Banco, personaggio positivo. I ballabili del terzo atto, introdotti da Verdi per l’edizione di Parigi (1865) diventano balletto moderno, pantomime con la coreografia di Daniel Ezralow, durante il quale, Macbeth fende l’aria con un colpo di spada e un enorme schizzo di sangue arrossa il led-wall. Nelle scene che si susseguono senza sosta, un ascensore conduce i protagonisti ai piani alti del potere, così come li sprofonda agl'inferi. Una grata grande come tutta la scena cala sul popolo della «Patria oppressa», imprigionandolo, e viene sollevata quando giunge Macduff, cui l’usurpatore ha fatto uccidere moglie e figli torna dall’esilio insieme a Malcom, il figlio del re assassinato, a capo di un esercito di liberazione. Lady vede perduta ogni speranza e, sopraffatta dal rimorso, sonnambula, intona sulla parte alta della scena a cinque metri d’altezza una toccante pagina musicale («Una macchia...»).
La regia televisiva di Livermore, che esplora ogni piega dei personaggi usando effetti di «realtà aumentata», la mostra al telespettatore in bilico su un grattacielo, sospesa su un abisso, che è la rappresentazione stessa del suo animo. La notizia della sua morte non sconvolge più di tanto Macbeth («La vita! Che importa?»). E poco dopo, sottolineata da una enorme esplosione sul led wall, arriva anche la morte del tiranno per mano di Macduff. Cala il sipario, parte il lungo applauso del pubblico.
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