Il Thermopolium, ovvero una bottega nella quale si vendevano prodotti alimentari e piccoli animali da cortile, ma anche pietanze calde cucinate in loco, non era certo una rarità a Pompei. Nella cittadella degli Scavi se ne contano ad oggi addirittura 80, quasi tutti organizzati allo stesso modo, con un bancone più o meno grande, ma sempre bene in vista, in modo che anche dalla strada si potessero scorgere i cibi.
Sul piano del banco una serie di fori tutti della stessa dimensione accoglievano i vasi in terracotta destinati a conservare le pietanze. Mentre su uno dei lati del bancone, addossato al muro, c'era di solito un espositore a gradini dov'erano in mostra piatti pronti e vasi con cibi diversi. Completava l'arredo un fornello mobile per riscaldare al momento i piatti da servire caldi. Nessuno dei termopoli che già si conoscevano, però, è stato ritrovato con un apparato decorativo così ampio e ben conservato e soprattutto in nessuno dei precedenti scavi - lontani negli anni - erano emersi così tanti elementi di studio sulla natura dei cibi e delle ricette in voga nel mondo romano del secondo secolo.
Un risultato, "dovuto al lavoro di squadra di un team multidisciplinare che segue dal primo minuto i nuovi scavi", sottolinea all'Ansa il direttore del Parco Massimo Osanna. Ed effettivamente nel cantiere del Thermopolium, un locale di circa 20 metri quadrati, hanno operato insieme archeologi esperti in zoologia, antropologia, botanica. E' Chiara Comegna, archeobotanica, a raccontare di una piccola brocca nella quale è stata riscontrata la presenza di un vino 'corretto'. Perché nel fondo del vaso in coccio dove la brocca era stata lasciata, dice, "è stato ritrovato un coppo e sotto al coppo, un grumo composto da resti di fave macinate".
Le fave, sottolinea, "venivano usate per sbiancare il vino" o per correggerne il gusto. L'odore del vino poi, rivela Osanna, "è stato un altro dei piccoli miracoli di questo scavo: ci ha investiti fortissimo quando abbiamo aperto uno dei grossi vasi col coperchio che erano sul bancone", incredibile se si pensa che quel vaso era chiuso da duemila anni. Non solo.
L'archeozoologa Chiara Corbino si è occupata delle presenze animali nei resti di cibi solidi. Le analisi, scrive nella sua relazione, dimostrano che gli chef pompeiani mischiavano carni diverse, pesce e carne insieme a lumache e anche ad uccelli: "in una stessa pietanza carne di pecora o capra, pesce, lumache di terra e anche anatre", quello che Osanna definisce "una sorta di paella".
In vendita, come si evince dai raffinati disegni che ornavano il bancone ma anche dai resti trovati sia dentro i vasi che fuori, c'erano cibi cucinati e non. Le anatre per esempio, sono raffigurate sul fianco del bancone già morte e pronte per essere spennate, la gallina invece è ritratta viva: "Questo forse perché in età romana le anatre non erano ritenute animali del tutto domestici. Tanto che per renderle tali qualche volta si facevano covare le uova delle anatre alle galline".
Ma nella dieta dei pompeiani, spiega Osanna, citando fonti antiche e ricerche paleobotaniche fatte sui contenuti dei pozzi neri, non mancavano il formaggio, sia duro sia morbido, le cipolle, le salsicce, le lenticchie, i cerali e naturalmente la frutta. "Una dieta mediterranea", insomma, sulla conoscenza della quale il nuovo ritrovamento potrà aggiungere nuovi particolari.
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