Nel giorno della festa nazionale francese, oggi 14 luglio, il milanese (ma varesino di nascita) Renato Pozzetto festeggia i suoi 80 anni.
Nato a Laveno sulle rive del Lago Maggiore nel 1940, cresciuto a Gemonio dove i genitori milanesi trovano rifugio durante i bombardamenti alleati, approdato a Milano dopo la fine della guerra, diplomato geometra all’istituto Carlo Cattaneo ritrova sui banchi di scuola Aurelio «Cochi» Ponzoni (anche lui cresciuto a Gemonio) e lo trascina nelle prime esperienze da cabaret: Cochi progetta e inventa, lui ci mette la verve, una vena surreale e il fisico.
È una coppia che alla lontana rievoca Stanlio e Ollio ed ha subito successo; nel '64 sono già «Cochi e Renato».
Si esibiscono per la prima volta all’Osteria dell’Oca e dopo, insieme a Enzo Jannacci, Felice Andreasi, Bruno Lauzi e Lino Toffolo si riuniscono nel «Gruppo Motore» con cui approdano al Derby di Milano.
È il tempio del nuovo spettacolo, tra underground e gusto pop e qui la televisione cerca i nuovi talenti dell’intrattenimento.
In meno di 4 anni Cochi e Renato sono già protagonisti alla Rai con varietà come «Quelli della domenica» e, soprattutto «Il poeta e il contadino» (1973). L'anno dopo sono addirittura sul palco di «Canzonissima» che vale per loro come una laurea ad honorem. Il merito è anche di Jannacci che con loro scrive motivi popolarissimi come «La
canzone intelligente» o «E la vita, la vita», ma i due ci mettono le facce, la mimica, un modello straniato di comicità e sorriso che conquista tutti, giovani e adulti.
Rispetto al suo compagno d’avventura Renato Pozzetto fa valere una dimensione propria, un impasto di ingenuità e goffaggine assolutamente irresistibile. Sembra Ionesco calato nella vita reale, ma regala emozioni più dirette e immediate che gli aprono le porte del cinema quando Flavio Mogherini gli offre il ruolo del protagonista in «Per amare Ofelia» a fianco di Giovanna Ralli e Françoise Fabian.
La parte è tagliata su misura per lui con quell'Orlando bamboccione e mai cresciuto, mammone ignaro del
sesso alle prese con una prostituta di buon cuore che saprà prenderlo per mano verso l’età adulta.
Quella di Orlando diventa rapidamente una maschera che Pozzetto indosserà a più riprese e con mille varianti, perché l’uomo è intelligente e sa modificare ogni volta il personaggio per intercettare il gusto del pubblico.
Lavora con registi affermati (Steno, Clément, Risi, Corbucci, Bolognini, Festa Campanile), a più riprese col suo pigmalione Mogherini e alla fine del decennio si cimenta anche nella regia con «Saxophone» (1978). Tanto la vita pubblica è disseminata di comparsate televisive, ritorni al cabaret, perfino exploit sportivi come la prima guida insieme a Riccardo Patrese al giro automobilistico d’Italia e poi una «Parigi Dakar» al volante di un camion, tanto quella privata è senza sussulti: nel '1967 ha sposato Brunella Gubler che gli ha dato due figli e lo lascerà vedovo nel 2009.
I diversi percorsi artistici lo tengono a lungo lontano dall’amico di un tempo, Cochi Ponzoni, che ha scelto il teatro e al cinema si concede poco.
Il «grande freddo» tra i due durerà a lungo anche se l'amicizia in fondo non viene meno. Per oltre vent'anni Renato
sarà uno dei pochi «nomi sicuri» del divertimento popolare al cinema: basta il suo nome in cartellone (come per Villaggio, Celentano, Abatantuono, Boldi&De Sica) per avere successo e i produttori lo sanno: fino al '94 lavora al ritmo di due o tre film all’anno e per quattro volte si dirige da solo, per il puro piacere di sviare dai suoi ruoli abituali. Subentrerà poi un periodo di solitudine e depressione da cui lo fa uscire nel 2000 proprio il vecchio sodale Cochi, anch’egli tornato al cabaret dopo una crisi artistica quasi parallela.
I due accettano la "reunion" quasi per sfida nella miniserie tv di Felice Farina a sfondo giallo «Nebbia in Valpadana». Segue un autentico trionfo a «Zelig» di Canale 5 quando Cochi&Renato scoprono che nessuno li ha dimenticati e che in coppia sanno ancora regalare sorrisi per tutte le generazioni. Da allora i due si ritroveranno più volte pur mantenendo identità artistiche divise.
Renato ha avuto il suo trionfo al festival di Sanremo dello scorso anno apparendo come super-ospite de Lo Stato Sociale col suo vecchio cavallo di battaglia «E la vita, la vita». Con la maturità è diventato un attore completo e misurato, ma quel che fa la differenza è quello spiritello balzano e imprevedibile che ne ha fatto il «pierrot lunare» della scena italiana dagli anni '60 in poi.
"Le generazioni mie Teocoli, Boldi, Abatantuono, Villaggio... - ricorda oggi Pozzetto - non le eguaglierà nessuno. Perché noi abbiamo fatto epoca. Con le nostre vite, le nostre abitudini e le nostre tristezze e le nostre tragedie. Perché un comico che può far veramente ridere deve «sorbirsi» esperienze di ogni genere. E la bellezza di una faccia che si riconosce è proprio questo: se mi riesci a guardare negli occhi ti sentirai a casa, una casa che si chiama «Italiano»... Come le belle cose che si facevano tra il 1960 e il 1990, poi tutto è diventato difficile. Ed è un peccato, non per me che ho anche l’umbrela, ma più per voi che ridete poco e vi divertite male».
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