BRESCIA. Dalle nudità neoclassiche de «Le grazie» alla modernità di quel «lampo di vita» che è lo sguardo disinibito della principessa Marie Radziwill: centodieci anni separano le due opere ma, in realtà, tra Antonio Canova e Giovanni Boldini la distanza nel rappresentare l’amore è abissale. In poco più di un secolo, società, storia, sentimenti e costumi cambiarono radicalmente. Così come la pittura, specchio dei tempi.
«Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana», a Palazzo Martinengo di Brescia fino all’11 giugno, intende raccontare proprio questo inesorabile cambiamento.
Cento opere provenienti da musei (ma soprattutto da collezioni private) degli autori più rappresentativi delle correnti artistiche italiane del XIX secolo: anni rivoluzionari sia nell’arte che nella società italiana. Il curatore, Davide Dotti costruisce un percorso dall’ approccio formale seguendo in maniera cronologica correnti e movimenti. Il risultato è un grande affresco policentrico con i nomi più noti della pittura italiana di cui sono esposte opere poco note al pubblico (ma non per questo meno interessanti). Perché l’intento è quello di mettere in evidenza i molteplici aspetti del panorama artistico del nostro ‘800. Otto le sezioni, dalla mitologia del Neoclassicismo di Antonio Canova e Andrea Appiani, al rutilante mondo della belle èpoque di Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis, passando per il Romanticismo di Francesco Hayez, Pelagio Palagi, Gaetano Previati e il disegno accademico del Piccio, l’avanguardismo della realtà della pittura di macchia con Giovanni Fattori e Telemaco Signorini, l’Orientalismo e il Divisionismo di quelli «che preferirono la visione alla veduta» come Giuseppe Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini.
Rivoluzioni sociali che influenzarono anche la tecnica della pittura che, in poco più di centodieci anni, passò dall’accademismo alla cronaca risorgimentale («Le ordinanze» di Giovanni Fattori) o dei paesaggi della campagna di Raffaello Sernesi (‘Grano maturo’).
Ma c’è anche un Ottocento che cede al fascino di donne esotiche («Odalisca» di Roberto Fontana) così come alla luce accecante del deserto e delle atmosfere di mondi lontani («Accampamento persiano» di Alberto Pasini). E chi, invece, come Angelo Inganni preferisce la «Donna che cucina lo spiedo» (di beccacce) davanti al focolare.
Sarà il 1874, l’anno della mostra degli artisti rifiutati dal Salon, a segnare la nascita del movimento dell’ Impressionismo.
Ecco trionfare, allora, la Parigi di Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi e Giovanni Boldini, il ritrattista per eccellenza.
Il destino dei «tre italiani di Parigi» è intrecciato a doppio filo con quello dei macchiaioli fiorentini del Café Michelangelo, il loro luogo d’incontro prediletto dove, grazie al critico Diego Martelli, giungevano notizie dalla vicina Francia dove la scuola di Barbizon invitava gli artisti ad uscire dagli atélier per dipingere en plein air «allo scopo di intercettare tutte le sfumature del colore della luce piena» alla ricerca costante di inediti linguaggi espressivi. Che abbia la passione per la pittura lo si capisce già da quando gli si fa una telefonata.
E l’opera che preferisce è «La canestra di frutta» di Caravaggio: Davide Dotti l’ha scelta come immagine whatsapp da abbinare al suo numero di smartphone. Curatore della mostra bresciana sull’anima e i volti della pittura italiana dell’800, è riuscito nella non facile realizzazione portando a Palazzo Martinengo dipinti provenienti soprattutto da collezioni private e scegliendone alcuni legati alla tradizione locale. Non un’esposizion monotematica ma policentrica. Tra tanti lombardi e veneti spicca il «Golfo di Palermo» di Francesco Lojacono.
«Il dipinto, inserito nella sezione ‘pittura della realtà’ dice Dotti - è un piccolo capolavoro per l’ariosità della veduta ma, soprattutto, per l’originalità degli effetti delle luci e i colori del paesaggio: difficili da trovare al Nord».
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