FIRENZE. «Chi vuole sapere più su di me, cioè sull’artista, l’unico che vale la pena di conoscere, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio»: si presentava così Gustav Klimt. E c’è un modo nuovo di vivere l’arte, la sua arte, un modo che fa sempre più presa sul pubblico per la facilità di fruizione e per il senso di partecipazione. È la mostra esperienziale.
A Firenze, per esempio, fino al 2 aprile, è possibile camminare immersi nel simbolismo di Klimt percorrendo, nella chiesa sconsacrata di Santo Stefano al Ponte, la «Klimt experience», immersi nell’oro e nei colori vivi dell’artista viennese. Un impatto visivo di oltre 700 immagini selezionate e riprodotte dal sistema Matrix X-Dimension sugli 11 megaschermi dell’installazione e il susseguirsi di multi proiezioni in video mapping permettono un’immersione totale in quel mondo simbolico, enigmatico e sensuale. L’allestimento propone anche esperienze di approfondimento con tavoli interattivi touch screen e la Klimt VR Experience, tecnologia avanzata di realtà virtuale con gli Oculus Samsung Gear VR sviluppata da Orwell, che consente di entrare all’interno di alcune celebri opere, percependone tridimensionalmente ogni dettaglio figurativo e cromatico.
Klimt si presta alla perfezione a questo approccio tecnologico: è un artista iconico, riconosciuto da molti per alcune opere simbolo, il suo stile ha radici antiche: i famosi sfondi del «periodo d’oro» sono ispirati ai mosaici di Ravenna, pur avendo un significato totalmente diverso: se nei mosaici il tema è religioso, Klimt celebra la gioia di vivere della Belle époque, in cui grande importanza assume la dimensione sensuale dell’amore. Ed ecco che viene in mente «Il bacio», l’inebriante capolavoro a fondo oro impregnato degli studi dell’autore sui mosaici di Ravenna, opera riprodotta quanto la «Gioconda» e finita su penne, tazze e posaceneri, che ha sancito la fama del pittore più importante dell’Art Nouveau.
A Firenze tutta la produzione klimtiana, risvegliata da realtà virtuale e proiettata sulle architetture dell’ex chiesa, si anima, prende vita: «Il bacio», così famoso da stare pure su un muro segnato dai combattimenti in Siria, ma anche l’ «Albero della vita», e «Giuditta» che fanno ormai parte dell’immaginario visuale popolare.
La mostra-esperienza curata da Sergio Risaliti, è stata ideata e prodotta dal Gruppo Crossmedia e realizzata da The Fake Factory, studio diretto dall’artista e video designer Stefano Fake. L’obiettivo è entusiasmare, affascinare, meravigliare il pubblico di giovani e adulti invitandoli ad approfondire la conoscenza dell’uomo e del maestro, la comprensione delle sue opere, la lettura stilistica attraverso la messa in scena spettacolare dei dettagli e della tecnica pittorica. La mostra ha riscosso un grande successo - oltre 35 mila ingressi nei primi due mesi - ed è stata visitata soprattutto da giovani, provenienti da ogni parte d’Italia, con prevalenza femminile: «Klimt è un autore che ha influenzato molto la sua epoca, inoltre le sue opere sono da alcune decine di anni iconiche per giovani e teenager, europei e non - afferma Federico Dalgas, presidente di Crossmedia Group - ossia il target a cui oggi sono indirizzate una molteplicità di offerte, negli ambiti più disparati, ma molto raramente in quello culturale. Ed è proprio partendo da questa riflessione che abbiamo pensato di realizzare e comunicare un format espositivo in grado di coinvolgere in particolare la generazione dei new media».
Klimt viveva con la madre e due sorelle nubili, lavorava molte ore al giorno senza interrompersi neppure per mangiare e, pur amando la compagnia, non cercò mai di far parte del bel mondo: sarà per questo che l’elemento chiave delle sue opere è la figura femminile. Come molti artisti del suo tempo, condusse però una vita sregolata: quattordici figli illegittimi con molte signore diverse di ogni condizione sociale, ma il grande amore della sua vita fu la creatrice di mode Emilie Flöge.
Tra spiccata sensualità ed eleganza, denso simbolismo, un massiccio utilizzo dell’oro e di preziosismi bizantini, sono almeno cinque le sue opere più famose, quelle in cui l’artista interpreta, secondo la tradizione antropologica più profonda, il passato remoto dell’umanità per legarlo al presente, introducendo elementi decorativo-simbolici dotati di una specifica funzione evocativa.
«Giuditta e la testa di Oloferne» è del 1901 ed è considerata la prima opera del periodo aureo, contraddistinto da un linguaggio di forte astrazione simbolica. Racchiusa in una cornice di legno scabro - realizzata dal fratello Georg, scultore, falegname e scaricatore di porto - il soggetto viene utilizzato come metafora del potere di seduzione delle donne, che riesce a vincere anche la forza virile più bruta. A seguire, «Le tre età della vita» del 1905, la tela che unisce il decorativismo geometrico a una introspezione psicologica nelle espressioni delle tre figure: la drammatica premonizione della fine nella vecchiaia, la tenerezza protettiva nella giovane donna e l’abbandono sicuro del bambino. Romantico senza essere sdolcinato, moderno senza apparire irriconoscibile, prezioso senza presentarsi sovraccarico, ecco «Il bacio» datato 1907/’08, gli stessi anni in cui Picasso lavora alle «Demoiselles d’Avignon».
L’uomo, in piedi, si piega per baciare la donna, caratterizzata da forme rotondeggianti e prive di ogni possibile spigolo, che sta inginocchiata sul prato tra i fiori e sembra accettare quello slancio, partecipando emotivamente con la faccia racchiusa fra le mani di lui. L’insolito abbigliamento degli amanti ricorda molto le tuniche indossate da Klimt e quelle che egli creava per la sua compagna Emilie Flöge, una delle prime donne ad abbandonare il corsetto a favore di morbidi abiti con i quali posava sia nelle foto che nei dipinti. Degli stessi anni è «Danae» in cui l’artista affronta un soggetto tratto dalla mitologia greca antica: Danae, fecondata nel sonno da Zeus, trasformatosi in pioggia d’oro.
La fanciulla è rappresentata rannicchiata in primo piano, ripiegata su sé stessa, avvolta in una forma circolare, che rimanda alla maternità e alla fertilità universale: in nessun altro dipinto di Klimt la donna è così interamente identificata con la propria sessualità. «La Vergine», siamo tra il 1912/’13, raffigura un gruppo di corpi femminili aggrovigliati, al centro domina una donna che distende le braccia in atteggiamento estatico, un gesto che allude al «risveglio» dei suoi sentimenti e al desiderio sessuale. Associare la bellezza a pose innaturali allude alla fugacità della vita, riflesso della decadenza della società contemporanea.
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