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Ori, spade e mazze: i grandi artisti li disegnavano così - Tutto su Cronache dell'arte

ROMA. Il gotha della pittura del ‘900 gioca a carte e (re) interpreta semi, numeri e figure per la «magica collezione» dell’amica Paola Masino.

Ecco, allora, il «Sette di spade» di Piero Dorazio, l’«Asso di coppe» di Gino Severini, il «Sei di fiori» di Pablo Echaurren, il «Sette di denari» di Giuseppe Capogrossi, il «Fante di spade» di Renato Guttuso, la «Giustizia dei tarocchi» di Giuseppe Migneco, il «Dieci di picche» del catanese Alfonso Corsaro o il «Cavallo di spade» della palermitana Livia De Stefani, giusto per citarne alcuni.

Una collezione che, in totale, conta 352 carte da gioco (in mostra ce ne sono 200): piccoli, grandi capolavori dei tanti artisti amici di Paola Masino, scrittrice, intellettuale, devota compagna del poeta Massimo Bontempelli di trent’anni più grande di lei.

Un gigantesco tre di spade opera di Enrico Prampolini è l’immagine simbolo di «Pittori del Novecento e carte da gioco», a Roma fino al 30 aprile, al piano terra di palazzo Braschi, tra piazza Navona e corso Vittorio Emanuele II. Curata da Marinella Mascia Galateria e Patrizia Masini, la mostra si sviluppa come excursus, oltre che straordinaria testimonianza, della pittura del secolo scorso.

Grandi opere di piccolo formato (ma ce ne sono anche fuori misura): carte napoletane, francesi e tarocchi che, astratte dal loro contesto, diventano vere opere d’arte che si trasformano in «simbolo metafisico». Fanno parte dell’originale collezione che Paola Masino, con tenacia e meticolosità, ha realizzato dal 1950 agli anni Ottanta e che il nipote Alvise Memmo ha donato al museo di Roma.

Per la prima volta sono in mostra anche lettere, quaderni d’appunti, manoscritti e alcuni ritratti che gli amici de Chirico, Marino Marini, Alexander Calder, Filippo de Pisis hanno disegnato per questa donna anticonformista, collezionista geniale e atipica che non ha mai comprato le opere della sua non convenzionale raccolta e che credeva che compito dell’arte fosse quello di reinventare la realtà.

«Tutte le carte da gioco ideate e dipinte dai massimi esponenti della pittura italiana, le ha ricevute in omaggio», dice Marinella Mascia Galateria, curatrice della mostra,
studiosa che si è dedicata all’opera della Masino che ha anche personalmente conosciuto, «anzi, rappresentano un tributo all’amicizia».

Come nasce l’idea di questa collezione?

«Amava giocare a carte: scopone con Luigi Pirandello, poker e pinnacolo con il compagno Massimo, canasta con il nipote Alvise: giocare era importante ma la compagnia intellettualmente stimolante lo era ancora di più. Quindi l’idea di carte artistiche, in quest’ottica, appare quasi naturale. Le custodiva gelosamente nei pacchetti di sigarette Muratti: riponeva quattro carte autografate in ogni singolo pacco che poi catalogava con precisione».

Gli artisti sceglievano o eseguivano ciò che lei chiedeva?

«Dalle letture si desume che era lei a decidere il soggetto della carta, le dimensioni e l’orientamento verticale delle opere. Tra imprevisti o ritardi. Prampolini, ad esempio, mandandole il Tre di spade dei tarocchi, immagine guida della mostra, si scusa “del disguido e del ritardo”; Carrà accompagna il Quattro di bastoni con le scuse per “il lungo ritardo”. O incidenti di percorso come quello di Carla Accardi che ha creato una carta in bianco e nero ma in senso orizzontale insomma “in senso errato”, come scrive Masino nei suoi appunti. Mentre Orfeo Tamburi deve ridurre i bastoni, non avendo i colori adatti e si limita, quindi, all’Asso promettendo il resto ad una prossima occasione. Mentre, dopo la morte dello zio Filippo, sarà la nipote Bona De Pisis, a realizzare per Paola un Sette di coppe».

Un elenco pittori lunghissimo…

«Aveva quaderni con i nomi ordinati alfabeticamente. Era esigente con se stessa e degli altri. Ma era anche una donna che godeva di profonda stima e reverenza da parte dei suoi amici. I quali pur con stili tra loro diversissimi testimoniano gusto e cultura di Masino, aperta all’arte in ogni sua declinazione».

Masino l’arte l’aveva respirata in casa…

«Nella casa di famiglia in Toscana c’erano tele a soggetto biblico che la ispirarono per il suo primo romanzo, “Monte Ignoso”. Invece a Roma, nella casa paterna, nell’appartamento di via degli Appennini, dove si trasferisce con la famiglia nel 1922, ci sono quadri “moderni” come Armando Spadini o Felice Carena. Nel 1927, allontanata da Roma per il nascente amore per Bontempelli, in “esilio cautelativo”, a Firenze incontra Marino Marini. Grande amica di Luigi Pirandello che va a trovare a Buenos Aires
per la prima mondiale di “Quando si è qualcuno” nel 1933…».

In mostra, ci sono 200 carte. E le altre 152?

«Sono sempre a palazzo Braschi, conservate negli archivi. Ritratti, foto e lettere, invece, provengono dall’Archivio del Novecento dell’università la Sapienza di Roma».

Qual è il suo ricordo di Paola Masino?

«Quello di una donna volitiva, intransigente e molto intelligente; una “toscanaccia” che voleva lasciare il segno e che odiava le banalità della vita domestica. Quando, durante uno dei nostri ultimi incontri, le chiesi se avesse bisogno d’un aiuto per catalogare e sistemare l’enorme quantità di documenti e libri che aveva in ogni angolo della casa mi rispose che avrebbe gradito “l’aiuto di qualcuno per cuocere la minestra, a libri e documenti ci penso da me”. Ma forse una frase nel suo delizioso “Album di vestiti”
definisce alla perfezione i suoi interessi e la sua personalità…».

Ovvero?

«Via via che vado scrivendo queste cose mi accorgo di quanto io sia inadatta al documentarismo. Narrare episodi già vissuti, realmente accaduti, mi riempie di noia. La bellezza dell’arte, il piacere dello scrivere sta tutto nell’inventare».

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