ROMA. Il 29 novembre del 1986 moriva Cary Grant, il divo per cui persero la testa in molte e che confessò una sola, travolgente passione, mai ricambiata per Sophia Loren.
Re della commedia sofisticata, quattro volte protagonista per Alfred Hitchcock, Cary Grant resta il secondo attore più popolare di sempre anche se ebbe un solo Oscar, alla carriera, nel 1970.
Quel pomeriggio di 30 anni fa a Davenport, capoluogo dell'Iowa, si stava preparando per andare in scena.
Sulle orme di altri attori sulla via del tramonto, aveva accettato la proposta di percorrere gli Stati Uniti con serate da «one man show», raccontando la sua storia come un moderno Buffalo Bill.
In camerino avvertì d'un colpo la stanchezza e sul momento non vi diede peso.
Solo a sera, su insistenza della moglie Barbara Harris, accettò di farsi ricoverare, ma era troppo tardi. Alle 23.22, a causa di un'emorragia interna, il suo cuore smise di battere.
Aveva 82 anni.
Con funerali privati e ceneri sparse al vento si concluse così la leggenda del più grande dandy della Mecca del cinema, e la vita di Archibald Alexander Leach, nato a Bristol il 18 gennaio 1904.
Non è un caso che il suo percorso artistico e personale vada sotto il segno del vero nome e di quello d'arte che gli fu imposto alla Paramount nel 1932, al suo esordio in «This is the Night»: dietro il sorriso complice, sotto i vestiti d'impeccabile taglio, oltre lo sguardo apparentemente svagato e sornione, l'uomo celava una personalità complessa e duplice con cui dovette combattere sempre, tanto che in «Scandalo a Filadelfia» fece dire al personaggio:
«Lo ha detto Archie Leach»; rispondendo invece a un'intervista quando era già ai vertici della popolarità esclamò: «Tutti vorrebbero essere Cary Grant, anch'io!». Le radici di questa scissione della personalità affondano sicuramente nella sua infanzia, trascorsa in solitudine in una famiglia piccolo-borghese in cui la madre divenne presto assente perchè ricoverata in una clinica per malattia mentale.
Il piccolo Archie, appena compiuti 14 anni, falsificò l'età e con una firma falsa del padre si unì alla compagnia di artisti girovaghi di Bob Pender. Divenne saltimbanco, funambolo, attore e cantante, arrivando così in America. Lì debuttò a teatro per poi trasferirsi a Hollywood. Si fece notare al fianco di Marlene Dietrich («Venere bionda») e Mae West. Ma il suo pigmalione resta George Cukor che scommise su di lui tre anni dopo, nel 1935, affiancandolo a Katharine Hepburn in «Il diavolo è femmina».
Insieme i due facevano scintille e Cary Grant divenne il re della commedia sofisticata. Nonostante le molte conquiste femminili (ebbe cinque mogli e numerose relazioni) i suoi migliori compagni nella vita privata furono maschi, secondo un copione abbastanza frequente per l'epoca. I suoi modelli erano l'amico Noel Coward (un vero dandy britannico) e Rex Harrison (non osò mai ricalcarne i ruoli, considerandosi inferiore), ma i suoi veri rivali sul set furono invece James Stewart e poi Gregory Peck.
Per imporsi accettò tutti i tipi di ruoli: fu soldato in «Gunga Din», spericolato pilota in «Avventurieri dell'aria», romantico studioso in «Susanna!», reporter scanzonato in «La signora del venerdì». Nel 1942, in piena guerra, prese la cittadinanza americana ma non esitò a devolvere il suo compenso di «Scandalo a Filadelfia» (uno dei suoi maggiori successi in coppia con la Hepburn) per lo sforzo bellico inglese. Con Alfred Hitchcock trovò un registro diverso ne «Il sospetto» (1941) che fino all'ultima inquadratura tiene il personaggio sospeso tra eroe romantico e perfido omicida.
È quella magnifica ambivalenza che poi gli consentirà il trasformismo di «Arsenico e vecchi merletti» (Frank Capra, 1944) e la smarrita ingenuità di «Notorius».
In quell'occasione, tenendo tra le braccia la bellissima Ingrid Bergman, Cary Grant «firmò» il più lungo bacio della storia del cinema. Dopo la fine della guerra l'equilibrato Archie Leach sembra avere la meglio sull'irrequieto Cary Grant: capitalizza il suo successo affidandosi a maestri della commedia come Howard Hawks («ero uno sposo di guerra», «Il magnifico scherzo»), Stanley Donen («Indiscreto»), Blake Edwards («Operazione sottoveste»), fonda la sua casa di produzione moltiplicando i guadagni, ritrova Hitchcock per una black comedy con Grace Kelly che farà epoca («Caccia al ladro»).
È tanto popolare che Ian Fleming pensa a lui per inventare 007, ma l'attore declinerà l'offerta di portarlo sullo schermo dicendosi «troppo vecchio per un ruolo cosi»«.
Nel 1963 accetta finalmente di recitare con Audrey Hepburn (in precedenza aveva rifiutato "Vacanze romane" e "Sabrina") dopo la delusione di non aver conquistato Sophia Loren: il risultato è ancora un successo: »Sciarada«. Ma sa già che con l'affermarsi del "metodo" e di attori come Marlon Brando il suo tempo è finito. Dopo "Cammina, non correre" di Charles Walters (1966) annuncia, a sorpresa, il ritiro. Non cambierà idea nonostante una proposta di Stanley Kubrick. Parsimonioso all'eccesso (metteva in contratto anche i suoi vestiti di scena), repubblicano in politica, schivo con la stampa, lasciò sempre poco spazio ai pettegolezzi nonostante i molti amori. Visse in equilibrio tra ciò che era e ciò che voleva essere: Archie Leach era inglese, Cary Grant americano; nella lotta fra i due prese vita un irresistibile cocktail il cui fascino non declina con gli anni.
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