ROMA. Adorava l' Italia, la storia del nostro Paese e le fascinazioni delle tante testimonianze artistiche. Peccato che gli italiani non gli abbiano mai reso gli onori che avrebbe meritato. Sconosciuto ai più, Sigmar Polke, artista tedesco (ma polacco di nascita) è stato, invece, uno dei più importanti del secolo scorso. Anche per questo, la Fondazione Pinault ha deciso di dedicare un tributo speciale a quest' eclettico artista concettuale con la prima retrospettiva italiana, anzi, una vera e propria antologica con oltre novanta opere (della collezione Pinault e da altre, pubbliche e private, provenienti da tutta Europa), fino al 6 novembre, nello splendore dei cinquemila metri quadri di Palazzo Grassi, a Venezia. Come titolo solo il suo nome e cognome, Sigmar Polke. Ovvero la parte per il tutto. E poi quel grande punto grafico (così come appare nello striscione sulla facciata di quella che è diventata la sede della Fondazione Pinault). Nome, cognome, punto e basta. Inutile aggiungere altro perché il marchio distintivo di uno dei fondatori del «realismo capitalista» (parodia del sovietico realismo socialista), è Polke stesso, l' occhio artistico più innovativo e sicuramente anticonvenzionale del '900, impudente critico della società dei consumi della Germania ovest. E il 2016 è l' anno che meglio si adatta per celebrare il legame speciale che lega la città di Venezia al poliedrico artista, morto nel 2010, a sessantanove anni. Quest' anno, infatti, oltre al decennale per la riapertura di Palazzo Grassi (ad opera del collezionista francese Francois Pinault, uno dei più potenti collezionisti d' arte al mondo) si celebra anche il trentesimo anniversario della partecipazione di Polke alla Biennale Arte della città lagunare del 1986 (dove ricevette il Leone d' oro). Nel patio centrale, il benvenuto nell'universo di Polke è dato proprio dalle sette tele avvolgenti che raccontano del periodo che, per il filosofo Karl Jaspers, rappresenta il clou della storia dell' umanità ovvero quell'età assiale che va dall' 800 al 200 a.C., periodo in cui vennero poste le basi per tutti i futuri sviluppi dell' umanità (e, in fondo, non viviamo anche noi in un' età assiale del terzo millennio che, nella cultura occidentale, ha ri-posto le basi del sapere scientifico e spirituale?). In maniera originale, la mostra ha un percorso cronologico a ritroso ovvero retrospettivo nel senso letterale del termine (dagli ultimi anni agli inizi Q1 Q2 di carriera), costruito dai curatori Elena Geuna e Guy Tosatto, che presentano la fascinazione e la storia artistica di questo pittore sperimentatore che fu anche fotografo, regista, critico e filosofo. Una cosa appare subito chiara di Polke (particolarmente amato in casa Pinault) e cioè che è impossibile attribuirgli etichette di genere che lo possano definire e ingabbiare in una corrente artistica: ché i suoi quadri sono, soprattutto, esperienze e percezioni visive. In più, l' universo mutevole (e ironico) di Polke fa, dell' effetto sorpresa, quasi un tratto distintivo, recuperando e manipolando ogni tipo di genere e immagine. Nella sontuosità di Palazzo Grassi si inizia, quindi, dalla fine. Dagli anni 2000 agli inizi dei Sessanta del '900, sui due livelli, ecco Zirkusfiguren (2005) dove i lustrini dei circensi lasciano presto spazio ad una malinconica poesia, Strahlen Sehen (2007) una serie di cinque opere dipinte ad acrilico che riflettono sulla visione degli astri nel 18° secolo, l' opera in quattro parti Hermes Trismegistos (1995) ispirata alle sessanta tarsie marmoree del pavimento del duomo di Siena (che Vasari, nel 1568, definì come «il più bello e magnifico che mai fusse stato fatto»), Magische Quadrate (1992), sette variazioni sui quadrati magici e sui pianeti e Lanterna Magica (1992), sei pannelli dipinti sul recto e verso, in cui il quadro diventa vetrata.