PALERMO. Conclusa da un mese, a Peschici, la mostra sull'artista nato a Bagheria nel 1911, eccone altre due, a Roma e a Pavia. Nella Capitale, fino al 9 ottobre, Guttuso. Inquietudine di un Realismo, ventotto opere da ammirare al Quirinale, nella galleria Alessandro VII.
Le scuderie del castello visconteo di Pavia, invece, fino al 18 dicembre, ospitano oltre cinquanta opere provenienti da sedi espositive prestigiose e mostrano La forza delle cose dipinte dal pittore siciliano. Curate da Fabio Carapezza Guttuso, presidente degli omonimi Archivi (e unico erede del patrimonio dell' artista), le due mostre evidenziano aspetti meno noti del pittore: quello legato alla problematica religiosa e quello più meditativo delle nature morte.
L'esposizione romana, alla quale ha collaborato anche il cefaludese Crispino Valenziano (amico personale dell' artista), presidente dell' Accademia teologica «Via Pulchritudinis», in un percorso non cronologico, regala ai visitatori la magnificenza de La Crocifissione, ritenuta blasfema quando fu presentata, nel 1942, al Premio Bergamo (dove ottenne il secondo posto): ai preti ne fu vietata la visione pena la sospensione «a divinis» (la Maddalena è nuda e il dramma è più umano che divino).
E, ancora, Legno della croce, La cena di Emmaus, Colosseo e Spes contra spem. Come sottolineato da monsignor Valenziano «partendo dalla virtualità religiosa del realismo sociale» Guttuso arriva «a realizzare opere che hanno nella liturgia la loro causalità originante, la loro identità materiale e formale e la motivazione finale della loro struttura e funzione».
Nel grande olio su tavola che è La Crocefissione, Guttuso (fortemente ispirato da Guernica dell' amico Pablo Picasso) non ha inteso affatto celebrare la resurrezione di Cristo ma solo descriverne la morte: un dramma personale che l' artista amplia, trasformandolo in sofferenza cosmica.
Dipinto nel 1941, segna l' inizio d' una presa di coscienza, di un approfondimento politico ma, oggi, viene letto anche come avvicinamento alla fede cristiana. Tensioni emotive, cromie intense ed estreme, nel segno di un' arte sempre tormentata da pensieri e passioni virili (ma anche riflessioni sulla società civile) vivono nelle tele dove l' ateo Guttuso (disse «io non credo ma Lo cerco») ritrae la condizione umana e la sua (eterna) sofferenza e dove i significati allegorici esaltano l' impegno sociale e politico dei soggetti ritratti.
E, tra i dipinti più ambiziosi dell' ultimo periodo, svetta il sunto autobiografico Spes contra spem: 300 cm x 350 cm di grandezza che, in un primo tempo, doveva chiamarsi Le tre età della vita (uovo e teschio, simboli d' inizio e fine vita, lo dimostrano). Il titolo è frase latina usata da san Paolo nella sua Lettera ai romani: sperare contro ogni speranza. Realizzato nel 1982 nello studio lombardo di Velate, raffigura un gruppo di amici (come Vittorini) pensosi in un interno (probabilmente lo studio -atelier del pittore dove si nota anche Donna in camicia seduta in poltrona di Picas so).
Un vero e proprio realismo della memoria dove la speranza pare essere affidata a quella persiana gioiosamente spalancata da una donna: l' onnipresente «nuvola bionda», musa amata dall' artista che Guttuso ha adorato ritrarre in centinaia di opere. E se la vita (s)corre veloce (come la bambina che supera la tartaruga), nella parte sinistra vive il passato mentre, sul lato opposto, c' è il vissuto recente. Ma, tra minacce incombenti e memorie infantili, a dominare la scena (oltre ad un' antenna televisiva) sono le teste dei mostri di villa Palagonia di Bagheria: «sedimentazioni di cui noi stessi non conosciamo la profondità», disse lo stesso Guttuso in un' intervista del 1982.
Costruita per essere «lontana dalla banalità di tante mostre italiane, male culturale del nostro Paese», nelle parole dei curatori Carapezza Guttuso e Susanna Zatti, l' esposizione alle Scuderie del castello visconteo di Pavia, sarà aperta fino al 18 dicembre.
Un percorso nato da una ricerca scientifica e affettiva che intende creare «un racconto a tutto tondo» dell'artista siciliano amico, tra i tanti, anche di Leonardo Sciascia che lo considerava grande pittore più per I tetti di Sicilia che per I funerali di Togliatti preferendo al realismo socialista quello esistenziale. Figura trasversale (ma icona per il popolo della sinistra, anche se aveva tanti amici prelati), con la sua arte, Guttuso ha posto al centro dei suoi interessi, la sofferenza e il riscatto delle classi più deboli della sua terra perché, diceva, «anche se dipingo una mela, dentro c'è la Si.
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