Musica per gli occhi. Immagini che risuonano: nelle loro fotografie la musica c' è e si sente forte. Per Silvia Lelli e Roberto Masotti (coppia affiatata nella vita e nel lavoro, fotografi ufficiali del teatro alla Scala di Milano dal 1979 al 1996) quello che per molti è sconfinamento, è solo un' apertura alla visione di un sentimento che, altrimenti, rimarrebbe appannaggio del solo ascolto musicale dal vivo. La mostra fotografica «Musiche», fino al 25 settembre a Perugia presso la «Galleria nazionale dell' Umbria» (diretta da Marco Pierini, nell' occasione, anche curatore della mostra), attraverso ottanta foto in bianco e nero, scattate a grandi interpreti della musica, è un racconto abbagliante e, per certi versi, rivoluzionario per stile e contenuto. Da Leonard Bernstein a Demetrio Stratos, passando per Carlos Santana, Keith Jarrett, Isaac Stern e Steve Beresford, giusto per citarne alcuni, «Musiche» è una melodia per gli occhi, una composizione d' artisti e della magìa della scena. «In qualche maniera, scrive nel catalogo Marco Pierini, sembra proprio che la fotografia, se riesce a restituire una forma assoluta della performance musicale, tenda a inverare per immagini quell' astrazione dallo scorrere meccanico del tempo che Lévi- Strauss attribuiva alla natura specifica della musica. E ogni foto di Lelli e Masotti, indipendentemente dal soggetto, non si presenta soltanto come particolare assoluto o contingenza suprema, ma assume in sé quel carattere di atemporalità e universalità che trascende il mero fenomeno, pur tuttavia non negandolo». La musica, quindi, anzi, le «Musiche» di Silvia Lelli e Roberto Masotti, così come bene indica il titolo della mostra perugina, sono rappresentate in tutta la loro ampiezza di spettro: dal piano classico al jazz passando per l' avanguardia contemporanea e l' azione performativa di Juan Hidalgo, Giancarlo Cardini e Steve Beresford. Ecco perché le immagini dei due fotografi vanno al di là delle apparenze, rappresentando e catturando altre realtà e verità. Lelli e Masotti, oltre che testimoni, per diciassette anni sono stati custodi d' una parte della storia del Teatro alla Scala di Milano, fissando nelle loro fotografie tensioni, gioie e difficoltà di quel percorso creativo che è il leitmotiv di tutte le le attività professionali che ruotano intorno alla musica come valore assoluto. «Vedere come ascoltare», recitava il sottotitolo di una mostra a Madrid loro dedicata nel 2012. Anche noi, vedendo quelle immagini «musicali», riusciamo a sentirne la melodia Un' esperienza multisensoriale in cui, oltre alla visione della musica, sembra quasi di percepirne le note e l' essenza. Con gli artisti che fotografate serve empatia per ottenere i risultati desiderati? Condividete idee e momenti di vita? Silvia: «Serve ascolto e respiro con la musica, seguire le prove il più possibile per conoscere il gesto degli artisti e la loro interpretazione. Alcuni di loro li si conosce da tempo, altri si incontrano per la prima volta. Molti sono divenuti amici». Credete che il vostro lavoro possa considerarsi come fotografia musicale o piuttosto musica fotografica? Roberto: «Il nostro lavoro è l' esempio di come esista almeno un modo di fotografare la musica e che ci sia una possibilità di riflettere sulla relazione tra le due entità fornendo degli esempi realizzati. Per paradosso, la musica fotografica esiste da prima dell' invenzione della fotografia: molta musica suscita immagini». Cercate, aspettate o costruite l' armonia degli spazi e il momento da catturare? O c' è casualità? Silvia: «Le prime due funzioni in genere predominano. Non costruiamo nulla se ci riferiamo ad altri artisti che creano. Ma se si cattura qualcosa di efficace che si fissa e rimane non è certo per caso!». Cartier-Bresson diceva che fotografare significa riconoscere le forme percepite dallo sguardo e porre sulla stessa linea di mira mente, occhi e cuore. Ma voi sembrate inquadrare anche la musica che c' è ma non si sente... Roberto: «Difficile mettere insieme le due cose cioè Cartier Bresson e la musica in aria. Il nostro lavoro è stato quasi totalmente al servizio delle arti performative. Per noi gli attimi, per così dire, cruciali e fatali esistono ma ci interessano di più quei momenti essenziali che portano dentro non solo luce e gesto ma anche musica e teatro, evocando il suono».