ROMA. Il soffio dei Buddha accarezza, lo sguardo rasserena il visitatore, nelle sale delle Scuderie del Quirinale. Decisamente originale, persino inattesa, la mostra «Capolavori della scultura buddhista giapponese» che sino al 4 settembre sarà ospitata nel magnifico edificio romano.
Ventuno opere, realizzate tra l' ottavo e il quattordicesimo secolo, diffondono spiritualità e arte a dispetto dei seminatori di morte. Inevitabile pensare ai Buddha di Bamiyan, le due gigantesche statue scolpite nella roccia in Afghanistan quasi due millenni fa e distrutte a cannonate nel 2001 dai talebani:
«Un gesto - era stato il commento di Flavio Caroli in un' intervista al "Giornale di Sicilia" - che rappresenta la linea di fuoco tra il mondo islamico, divenuto iconoclasta a livello popolare, e quello buddista, pazzamente innamorato dell' immagine».
Sulle raffigurazioni buddhiste, peraltro, Caroli ha scritto pagine acutissime nel suo «Arte d' Oriente Arte d' Occidente», edito da Electa. Lo studioso sottolinea come la nascita di una cultura «iconofila» sia stata possibile malgrado la prescrizione contenuta in uno dei primi testi buddhisti: «Colui che come il sole è tramontato, non può essere paragonato a nulla».
Lo studioso spiega: «Accade qui ciò che accadrà a Bisanzio e che non avverrà invece nel mondo islamico, proprio per le radici profondamente diverse di quella religione. Una fede che vanta ormai un crescente seguito popolare comincia a palesare un bisogno spasmodico di sussidi visivi della dottrina. Il Buddha storico finisce per diventare un' illusione in un mondo illusorio e ciò permette di rappresentarlo in immagini, perché tutte le immagini sono illusorie».
Le sculture, ad esempio.
Esposte per la prima volta in Italia, non è stato certamente facile trasportare nella Città Eterna opere custodite in templi, santuari e grandi musei nel Paese del Sol Levante. Un' operazione culturale impegnativa, esaltante, per scoprire quello che l' ex Soprintendente del polo museale romano, Claudio Strinati, ha definito «un vertice dell' arte assoluto».
L'evento, inoltre, costituisce un modo per celebrare sotto l' Alto Patronato della Presidenza della Repubblica il centocinquantesimo anniversario del primo Trattato di amicizia e commercio fra Italia e Giappone, che venne firmato il 25 agosto 1866 e diede inizio ai rapporti diplomatici tra i due Paesi.
La mostra, aperta dalla domenica al venerdì tra le 12 e le 20, il sabato sino alle 23, è curata da Takeo Oku. Lo studioso, specialista delle proprietà culturali dell' Agenzia governativa nipponica per gli affari culturali «Bunkacho», spiega nel saggio in catalogo come siano principalmente quattro le figure delle rappresentazioni buddhiste: Nyorai, Bosatsu, My e Ten.
«Nyorai - scrive Takeo Oku - è colui che ha raggiunto l' illuminazione e si è liberato dal ciclo delle reincarnazioni attraverso i sei mondi (il mondo dei Deva, il mondo umano, il mondo degli Asura, il mondo dei Preta, il mondo degli animali, il mondo Naraka) attraverso i quali devono passare tutti gli esseri che possiedono un' anima.
Bosatsu o Bodhisattva è colui che cerca l' illuminazione o ha rinunciato a diventare nyorai per dedicarsi alla salvezza degli uomini. I My, invece, sono la divinizzazione della "vera parola", il mantra, e combattono coloro che ostacolano l' insegnamento buddhista.
Sono, quindi, generalmente rappresentati con pose ed espressioni aggressive. Infine, i Ten sono divinità autoctone dell' India assimilate al buddhismo. Vengono rappresentati in molte maniere, con molte teste e molte braccia o guerrieri vestiti di corazza».
Dagli organizzatori della mostra viene, invece, citata una frase dell' artista Henri Focillon che scriveva: «La storia del genio giapponese è un lungo omaggio agli dei dell' Asia e a formule etiche che furono le sue educatrici e, al contempo, uno sforzo incessante per trattare in modo personale queste formule. Una certa concezione dell' universo, espressa da riti di grande fascino, associa strettamente l'uomo alla natura e l' uomo alla comunità».
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