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A Palermo la mostra di Camillo Fait, lo "zingaro" che ama i cavalli

PALERMO. Cavalli che scorazzano nella brughiere, donne di cui si intravedono i lineamenti, caricature leggere di indovinato stile retrò. Camillo Fait ha attraversato periodi diversi e ognuno ha lasciato un segno indelebile sulla sua arte: si potranno scoprire nell’antologica “Una vita in movimento” che si inaugura domani alle 18 presso la galleria Li.Art (via Giotto 84) a Palermo.

Interverrà il critico d’arte Francesca Mezzatesta che ha curato il testo in catalogo.

Il titolo non è scelto a caso: Camillo Fait è un uomo in continuo movimento e così anche la sua arte. Classe ’35, milanese, ma di madre trentina e padre turco, Fait ha seguito le orme del padre, cresciuto in una famiglia di zingari, tra atmosfere e violini tzigani, ombre e giochi di prestigio, circo, blues, jazz e danza. Fait ha dato corpo ad innumerevoli visioni attraversate nei suoi viaggi in giro per il mondo: a otto anni suona mandolino e batteria, a dieci si esibisce con il padre Daer negli spettacoli delle Forze Armate americane in Italia. Nel ’46, sfollato con la madre separata nel Pavese, vede i corpi del Duce e della Petacci appesi a testa in giù: uno choc che disegnerà su tutti i muri di Ferrera Erbognione, dove vive. In collegio, a Milano, segue le lezioni di Aligi Sassu e inizia a maneggiare la creta. Inizia ad esporre, diventa noto, le mostre si susseguono soprattutto in Germania e America.

Oggi, ultraottantenne, ancora scia e passa due mesi l’anno in barca a vela.

Il percorso di vita di Camillo Fait si è spesso sovrapposto a quello artistico, tra frequenti scambi, amicizie, incontri fortuiti, viaggi e ancora viaggi. E’ sempre stato un grande osservatore; e, facile a notarsi, adora i cavalli che ritornano preponderanti tra i temi più amati, insieme a donne sconosciute, radi paesaggi, piccole brughiere, calette mediterranee e tundre innevate.

Ora guarda a Klimt, ora schiaccia l’occhio agli Impressionisti, ora dimostra persino un’allure futurista o si dedica per brevi periodi alla caricatura, ma fugge ogni intellettualismo in nome dell’istinto, anche negli assemblage. Fait è un onnivoro e virtuoso, nonostante l’effetto immediato della sensazione.

Ama la tela, predilige l’acquarello, ma si lascia abbagliare dalla scultura: riesce a donare leggerezza a figure macroscopiche, dove il bronzo sbalzato a fuoco è ingentilito spesso dalle Murrine. Nascono così i “Galli esotici”, forse le sue sculture più apprezzate all’estero, che completano oggi la sua antologica.

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