ROMA. Sacralità, mistero, magia. Intrigante e piena di fascino con i suoi richiami al culto neo pitagorico, riapre al pubblico dopo decenni la Basilica Sotterranea, monumento unico e incredibile dell'età augustea rimasto nascosto per quasi due millenni nelle viscere di Roma sotto la centralissima via Prenestina a un passo da Piazza Maggiore. Scoperto e portato alla luce per caso nel 1917, oggetto di importanti restauri negli anni Cinquanta, questo gioiello dell'arte augustea, monumento privato della Roma pagana la cui funzione rimane a tutt'oggi un mistero, forse luogo di culto forse edificio funerario, forse entrambe le cose, è stato di fatto quasi sempre inaccessibile ai visitatori.
Che ora, a conclusione di una prima fase di messa in sicurezza e restauri (due anni di lavori con un finanziamento Arcus di 500 mila euro) potranno riscoprirlo approfittando delle visite guidate aperte su prenotazione dal 26 aprile ogni II e IV domenica del mese dal soprintendente Francesco Prosperetti. Visite comunque contingentate e brevi per non danneggiare il delicatissimo equilibrio della struttura, assicurato da otto complessi macchinari che rendono l'aria pulita 'come quella di una sala operatoria' e assicurano il monitoraggio della temperatura e dell'umidità, indispensabile per la conservazione di questo tesoro. L'impatto è da togliere il fiato. Completata la scala che conduce fino a nove metri sotto il livello della strada, superato quel che resta del Dromos, ovvero il lungo corridoio buio che nell'antichità portava sottoterra fino agli ambienti della Basilica, ci si ritrova nel silenzio abbacinante del Vestibolo affrescato a colori e che un lucernario, dall'alto, inonda di luce. Poi è di nuovo penombra e grande atmosfera - interrotta solo dal rombo lontano dei treni che corrono in superficie - quando ci si affaccia nelle imponenti navate della Basilica vera e propria.
Qui, dove la pianta richiama quella delle successive basiliche cristiane facendo dell'edificio un unicum che non trova eguali in tutto il mondo romano antico, l'elegante pavimento in mosaico bianco a cornici nere è quasi intatto. E sulla lunga volta della navata centrale, così come nella parte superiore dell'abside, una serie di candidi stucchi miracolosamente sopravvissuti ad un interramento di secoli e poi alle infiltrazioni di acqua, percolati, inquinanti, rimanda a episodi della mitologia greco romana, ripetendo ovunque, come fanno notare il responsabile dei restauri Giovanna Bandini e il responsabile archeologo Ida Sciortino, "quello che sembra un omaggio alla figura femminile". Un racconto che nella parte centrale dell'abside ha come protagonista Saffo, che sta per gettarsi in mare,in un'atmosfera comunque mai drammatica. Il bianco di quei delicatissimi stucchi, oggi, è il colore dominante, anche se gli archeologi hanno voluto mantenere sui muri il segno della terra che per secoli ha riempito questi ambienti, già nell'antichità, dopo l'abbandono e la razzia di ornamenti e suppellettili. In parte il bianco doveva comunque essere forte anche allora, nella prima metà del I secolo quando l'edificio venne costruito, con tutta probabilità da un membro della facoltosa famiglia degli Statili, volutamente sottoterra e nascosto ai più, ma decorato senza risparmio da una fucina di artigiani augustei "di altissimo livello". L'abside era invece nella sua parte inferiore interamente dipinto di un azzurro profondo di cui ancora è possibile leggere qualche traccia e che doveva richiamare il mare in cui si getta Saffo.
Nell'insieme un luogo magico, reso ancora più intrigante dal mistero che ancora ne avvolge storia e destinazione d'uso, dopo decenni di confronti tra gli studiosi, compreso lo psicanalista Aldo Carotenuto che nel 1971 le dedicò un lungo, argomentato saggio. A tutt'oggi, gli studiosi sono divisi, tra chi pensa che si trattasse di un luogo di culto, per lo più neo pitagorico secondo la teoria di Jerome Carcopino, e chi invece pensa a un monumento funebre per aristocratici. "Forse fu entrambe le cose, anche se gli scavi non ci hanno offerto indizi ulteriori", sottolinea Sciortino. Tant'è, il mistero avvolge anche il suo fondatore: Carcopino lo indicò in Tito Statilio Tauro, morto suicida nel 53 d.C. perché accusato di culti magici da Agrippina madre di Nerone. Un altro storico, Gilles Sauron, indicò invece un omonimo Tito Statilio Tauro, membro della stessa famiglia, che fu luogotenente di Augusto e console nell'11 d.C. I recenti restauri hanno fatto ipotizzare due fasi nella vita della Basilica, forse edificata dal primo Tito e passata poi al secondo, finendo quindi nell'abbandono dopo il suicidio di quest'ultimo. "Ma forse dovremmo cercare una figura femminile, la madre, la moglie, la sorella di quel Tito Statilio Tauro a cui sembra essere dedicato", argomentano Sciortino e Bandini. Cherchez la femme, dunque. La soluzione, chissà, potrà venire ora da una ripresa degli studi, e dai restauri che proseguono con il finanziamento dalla Soprintendenza. Per completarli, ci vorranno dai 3 ai 5 anni per un costo di 2,5 milioni di euro.
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