PALERMO. I prodigi della scienza e le meravigliose risorse del cervello umano sono al centro di questo interessante film di James Marsh, premio Oscar nel 2009 per il suo documentario Man on wire, sull'impresa del funambolo che nel 1974 percorse lo spazio fra le Torri Gemelle.
Attratto questa volta da un'impresa, a dir poco altrettanto «funambolica», il talentuoso cineasta britannico ci racconta la vita di Stephen Hawking, il più grande forse tra i fisici teorici attualmente viventi ed operativi che, a dispetto di una malattia degenerativa che lo ha condannato su una sedia a rotelle e costretto a comunicare attraverso un sintetizzatore, studiando le leggi che governano l'universo, è giunto a straordinarie conclusioni.
E proprio a quella che, conciliando la relatività di Einstein e la fisica quantistica, dovrebbe essere una teoria definitiva, si riferisce il titolo del film. Sotto l'urgenza di un tempo che per lui doveva essere molto breve (a ventuno anni i medici gli davano solo due anni di vita, oggi a 73, continua serenamente il suo lavoro) le sue ipotesi sull'inizio e la fine dell'universo, divulgate nel bestseller A brief history of time hanno trovato milioni di lettori. Scegliendo per raccontarcelo il punto di vista della prima moglie Jane Wilde, (senza la quale, ammettiamolo, nulla di quanto detto sopra sarebbe forse accaduto), il regista si ispira alle sue memorie, narrate in Travelling to infinity: my life with Stephen, (in Italia Verso l'infinito, Piemme) e ne ricava un film che, pur raccontandoci per sommi capi lo scienziato, è soprattutto un ritratto intimo, privato, la storia di un matrimonio sostenuto da un amore in lotta contro incredibili difficoltà, allietato tuttavia dalla nascita di tre figli.
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Eliana L. Napoli
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