Sabato 23 Novembre 2024

Yousef sopravvisse al naufragio di Lampedusa ma perse 4 figlie: "Siamo rifiuti"

Da Lampedusa i volti disperati di chi è riuscito a sopravvivere al naufragio del barcone partito dal porto libico di Zuwarah. Tra di loro anche una donnaincinta di otto mesi miracolosamente scampata al naufragio: è stata trasportata in elisoccorso a Palermo perun ricovero in ospedale. Ha una broncopolmonite ma ce l’hafatta.
Continua il recupero dei sopravvissuti al naufragio del barcone partito dal porto di Al Zwarah e diretto a Lampedusa. «Eravamo in mare da tre giorni e la barca iniziava ad accusare problemi, imbarcava molta acqua. Il mare era freddo e la gente sentiva freddo e stava male. Molti hanno vomitato», racconta uno dei superstiti (pagina 3 del Giornale di Sicilia del 7-4-2011).
 
Chiesa di Lampedusastracolma per l’omelia del parroco don Stefano Nastasi dedicataalle vittime del naufragio davanti le coste dell’isolache ha provocato 111 morti accertati. Mentre don Nastasi diceva«Non volevamo essere qui a ricordare momenti di morte, maeccoci ancora. I numeri di questo drammatici scoraggiano, cispaventano, perchè non sono numeri ma persone», la gente chenon trovava posto nella chiesa ha cominciato ad affollare lapiazza antistante che poco a poco si è riempita di lampedusani,oltre un migliaio, in attesa di partecipare alla fiaccolata cheha percorso la via Roma.«E la loro morte che ci interpella - ha aggiunto il parroco -ci provoca e ci coinvolge. Il nostro lamento di questi anni nonè servito a nulla. Mentre fuori si discute, qui si muore, nell’inerzia di chi dovrebbe proteggerci, delle istituzioni che nonfanno fino in fondo il loro dovere». Sull’isola è giunta anche Laura Boldrini, presidente dalla Camera. «Sono passata avedere le vittime di questa tragedia. Una visione molto forte.Volevo esprimere qui la mia solidarietà ai sopravvissuti e lamia vicinanza al sindaco e ai lampedusani. Nulla dovrà essere più come prima - ha sottolineato - bisogna riconsiderare le politicheverso i paesi di origine dei richiedenti asilo. Bisognachiedersi perche decine di migliaia di giovani rischiano laruolette russa nel Mediterraneo pur di fuggire dal propriopaese».La fiaccolata dei lampedusani nel reportage fotografico di Igor Petyx.
 
Uno scatto del fotoreporter catanese Antonio Parrinello, insieme a quelli di altri due colleghi italiani, figura fra le 32 “Migliori foto del 2013” selezionate dal periodico Internazionale per raccontare i fatti principali dell’anno attraverso le immagini dei fotoreporter di tutto il mondo. Quella di Parrinello (agenzie Reuters/Contrasto) ritrae l’interno dell’hangar di Lampedusa dove il 5 ottobre scorso furono riunite e allineate le centinaia di bare dei migranti morti nel naufragio avvenuto due giorni prima al largo dell’isola: 366 i morti, 20 i dispersi per quella che viene indicata come la più grande tragedia di questo secolo nel mar Mediterraneo.
 
 
 
 
 
Wahid Hasan Yousef

«Quando stamattina ho sentito della tragedia di Crotone mi sono sentito male. Come allora, anche se sono passati dieci anni. La sensazione di essere un rifiuto è tornata alla memoria, ed è dolorosissimo. Assistevano alla nostra morte come spettatori. Aspettavano a soccorrerci mentre molti di noi morivano. E’ stato terribile, e lo è tuttora ricordarlo». A parlare è Wahid Hasan Yousef, cardiochirurgo curdo siriano, che nel naufragio del 10 ottobre 2013, conosciuto come ‘la strage dei bambinì a Lampedusa perse quattro figlie di due, cinque, sette e dieci anni. Si contarono 268 dispersi e 26 morti. Tra loro c’erano 60 bambini. Yousef si salvò insieme a sua moglie. Oggi vivono in Germania, a Dusseldorf, e hanno avuto due bambini: «Se non fosse per loro, che chiedono sempre delle sorelle, sarei già morto di dolore. E’ per loro che vivo». La moglie non parla con nessuno della tragedia che li ha colpiti, se accenna qualcosa scoppia in lacrime e si sente male. Solo lo scorso anno si è recata a Lampedusa con il marito, ma il dolore di ritrovarsi lì le è stato intollerabile. «Sono addolorato - dice - quelli morti in mare sono esseri umani che dovevano e potevano essere salvati. E mi rivolgo all’Italia e all’Europa: recuperate i corpi delle vittime, noi non abbiamo mai potuto rivedere quelli delle nostre figlie. Anche i morti vanno recuperati perché si ha bisogno di avere un posto dove piangerli». Yousef ripercorre quel terribile 10 ottobre e racconta l’assalto di una motovedetta libica al peschereccio, «arrivarono molte raffiche di mitra sparate per fermare l’imbarcazione sulla quale viaggiavamo che ferirono tre persone e danneggiarono lo scafo facendogli imbarcare acqua». Il tono della sua voce si alza quando ricorda: «Aspettammo inutilmente i soccorsi dalle 12 fino alle 17.07, quando l’imbarcazione si capovolse e molte persone a bordo morirono, tra cui le mie figlie». Eppure, ammette, in dieci anni nulla è cambiato: «Lancio un appello ai governi europei affinché incentivino la pace e fermino le guerre a causa delle quali molti partono e trovano la morte in mare». Le parole di Yousef diventano quasi una preghiera dopo il ricordo doloroso dei suoi lutti: «Dove sta l’umanità? Dio ci ha creato tutti uguali, siamo tutti essere umani, tutti, e non deve esistere che alcune vite contino meno di altre, che siamo come rifiuti appunto». Come immagine di whatsapp il medico, oggi invalido, ha la foto delle quattro figlie che guardano nell’obiettivo: si somigliano tutte, hanno i capelli ben pettinati con fermagli e cerchietti. E sorridono. Almeno lì.

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