Lunedì 23 Dicembre 2024

Strage di Bologna, ergastolo per Paolo Bellini: l'attentato finanziato dalla P2 di Gelli

Paolo Bellini
Giusva Fioravanti
Francesca Mambro
Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro in un’ immagine del marzo 1984, durante il processo
Gilberto Cavallini
Luigi Ciavardini
Bologna 2021: commemorazione per il 41° anno dalla strage
Bologna 2021: commemorazione per il 41° anno dalla strage
Bologna 2021: commemorazione per il 41° anno dalla strage
L’orologio alla stazione di Bologna fermo alle 10.20, l’ora in cui il 2 agosto 1980 avvenne l’attentato

A 42 anni dall’attentato più sanguinoso del Dopoguerra italiano, la strage di Bologna del 2 agosto 1980, c'è un altro responsabile per quegli 85 morti e oltre 200 feriti. Lo ha stabilito la Corte d’Assise di Bologna, dopo tre ore di camera di consiglio, condannando all’ergastolo (con isolamento diurno di un anno) l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale, Paolo Bellini. Un uomo dai mille volti, ladro, truffatore, «assassino» come lui stesso si è definito, pur dichiarandosi sempre innocente per la strage, killer di ’ndrangheta e per un periodo collaboratore di giustizia. Per i giudici anche lui ha contribuito a commettere quegli omicidi, insieme ai tre ex Nar già condannati in via definitiva - Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini - e a Gilberto Cavallini, condannato all’ergastolo solo in primo grado, nel gennaio 2020. Bellini non era presente in aula al momento della sentenza, ma appena la Corte si è ritirata ha ribadito per l’ennesima volta la sua verità, «non ero a Bologna il 2 agosto». Ma il tredicesimo processo sulla strage, passerà alla storia come quello sui mandanti, perché oltre a Bellini e agli altri due imputati, l’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio e condannato a 6 anni, e l’ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, Domenico Catracchia, accusato di false informazioni ai pm e condannato a 4 anni, ha messo per la prima volta nel mirino non solo gli esecutori materiali, ma anche i finanziatori. Per la Procura generale, che avocando l’inchiesta nel 2017 è andata oltre alla richiesta di archiviazione della Procura ordinaria, la strage fu finanziata dai vertici della P2 grazie ai soldi del Banco Ambrosiano: con Licio Gelli e Umberto Ortolani considerati i mandanti, così come Federico Umberto D’Amato, il potente capo dell’Ufficio Affari riservati del Viminale che grazie ai suoi contatti con i servizi segreti deviati e la destra eversiva contribuì ad organizzare l’attentato e a mettere in piedi i depistaggi, aiutato nella gestione mediatica dell’evento da Mario Tedeschi, direttore de Il Borghese.  Tutti deceduti e non più imputabili, ma al centro delle ricostruzioni dei magistrati bolognesi. Per questo motivo, quando usciranno le motivazioni, sarà importante capire come la Corte avrà recepito il disegno della Procura. A commettere la strage non furono poi solo i Nar, ma per i Pg sono coinvolte varie formazione della destra eversiva dell’epoca, come Terza Posizione e Avanguardia Nazionale, «cementate» da un fiume di denaro che arrivò dai conti svizzeri del Venerabile e dei suoi prestanome, con l’obiettivo di perseguire la strategia della tensione. Bellini, invece, quasi sempre presente in aula durante il processo, a volte con un atteggiamento di sfida nei confronti dei testimoni, ha provato più volte ad allontanare le accuse contro di lui, quando è stato interrogato e facendo per tre volte dichiarazioni spontanee. Il suo sbuffare e i commenti a mezza bocca sono stati una costante nel corso delle 76 udienze. La principale prova contro di lui è stata un video amatoriale girato in stazione quella mattina, in cui appare un uomo con i baffi che per i magistrati è sicuramente Bellini e lo è anche per la sua ex moglie, che riconoscendolo ha fatto cadere il vecchio alibi che alle 10.25, l’ora dello scoppio, lo collocava lontano. La sua difesa, invece, ha provato in ogni modo a screditare l’ex compagna e l’attendibilità delle sue dichiarazioni, accusandola di aver cambiato versione solo per paura di essere indagata. «Ingiustizia è fatta», ha commentato uno dei suoi due legali, Antonio Capitella, a cose fatte, interpretando così il pensiero del suo assistito. Per i familiari delle vittime, invece, «è un giorno importante perché si conclude in maniera positiva un lavoro di 40 anni, ma mancano ancora le responsabilità politiche. Questi - ha detto Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime - hanno potuto fare quello che hanno fatto perché ci sono stati dei responsabili politici che glielo hanno permesso. È un processo che non si doveva fare ma alla fine si è fatto». Adesso bisognerà attendere l’appello, che probabilmente sarà accorpato a quello di Cavallini, nell’aprile del 2023, e vedere come evolverà l’altro fascicolo sul 2 agosto nelle mani della Procura generale, per avere forse un quadro definitivo sui responsabili di una «strage di Stato», come l’hanno definita i Pg e prima di loro la Corte d’Assise che ha condannato Cavallini.

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