Solo il 23% dei medici ospedalieri siciliani, potendo scegliere, continuerebbe a lavorare in un ospedale pubblico. Il 26% sogna la pensione, il 23% fuggirebbe all’estero, il 15% vorrebbe dedicarsi alla libera professione ed il 13% preferirebbe lavorare in una struttura privata. Addirittura, il 32% appenderebbe il camice bianco al chiodo e sceglierebbe un’altra professione. È quanto emerge dal sondaggio condotto dalla Federazione Cimo-Fesmed, a cui i medici siciliani hanno risposto in massa: sono 410 le risposte arrivate dalla Regione. Numeri che dovrebbero allarmare Istituzioni regionali e pazienti: «Se non si fa qualcosa per arginare il malcontento dei colleghi – commenta il segretario di CIMO Sicilia Riccardo Spampinato – il rischio di non poter assicurare la tutela della salute dei cittadini è dietro l’angolo».
Analizzando i risultati dell’indagine, le cause di tale insoddisfazione risultano chiare: il 67% dei medici siciliani è costretto agli straordinari, e di questi il 19% lavora più di 48 ore a settimana, violando la normativa europea sull’orario di lavoro. Ore impiegate, perlopiù, compilando atti amministrativi: il 63% ritiene infatti eccessivo il tempo da dedicare alla burocrazia, mentre solo il 36% pensa di riservare una quantità adeguata di tempo all’atto medico e all’ascolto del paziente. Impossibile per molti, infine, andare in ferie: il 50% dei medici siciliani che hanno risposto al sondaggio ha infatti tra gli 11 e i 50 giorni di ferie accumulati ed il 33% ha più di 50 giorni di ferie non goduti. Non c’è da sorprendersi, allora, se il 19% ritiene “pessima” la qualità della propria vita.
A complicare le cose, poi, sono stati senza dubbio due anni di emergenza causati dal Covid-19, che hanno aumentato lo stress psicofisico (ritenuto elevato dal 72% dei medici) e la percezione del rischio professionale (alto per il 71% degli aderenti) e della sicurezza della propria famiglia (60%). Contemporaneamente, peggiorano in modo drammatico le aspettative che i medici siciliani hanno per il proprio futuro: solo il 16% spera nel miglioramento della professione, l’8% nello sviluppo della propria carriera e, addirittura, l’1% in un aumento di stipendio.
«Dopo due anni in prima linea nella lotta al Covid-19, i medici meritano finalmente delle risposte concrete e dei segnali chiari di riconoscimento che vadano al di là di belle parole e vuoti proclami. Non ci sono più scuse o giustificazioni – conclude Spampinato -. Questo è il momento di agire».
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