PALERMO. Foto dal passato, identikit, espressioni recenti di un boss stanco e vinto dalla malattia. Eccoli i tanti volti di Bernardo Provenzano, un "fantasma" materializzatosi dopo ben 43 anni di latitanza. Un uomo stanato in una masseria di Montagna dei cavalli, nelle campagne di Corleone, la mattina dell'11 aprile 2006. Minuto e dimesso da un lato, boss astuto e sanguinario dall'altro. Lo circondava la fama del capo inafferrabile che aveva eretto attorno a sè una barriera invalicabile. Sospettava di tutto e di tutti. Raccomandava agli amici di parlare a bassa voce e di controllare la presenza di «cimici» e telecamere nascoste. Mandava i suoi ordini con i celebri «pizzini» codificati e vergati, in una lingua approssimativa ma molto espressiva, con l'inseparabile macchina per scrivere. In quei foglietti era rappresentato tutto il mondo di Provenzano, quello che il pentito Angelo Siino ha descritto come un «sistema» di imprese, appalti, affari, soldi riciclati nei canali dell'economia legale. E sullo sfondo una rete di relazioni e mediazioni con la politica. La sua uscita di scena consegna ora il testimone della continuità a Matteo Messina Denaro, con il quale scambiava messaggi e «pizzini», che della mafia interpreta la versione più moderna e più spregiudicata.