Uno scatto del fotoreporter catanese Antonio Parrinello, insieme a quelli di altri due colleghi italiani, figura fra le 32 “Migliori foto del 2013” selezionate dal periodico Internazionale per raccontare i fatti principali dell’anno attraverso le immagini dei fotoreporter di tutto il mondo. Quella di Parrinello (agenzie Reuters/Contrasto) ritrae l’interno dell’hangar di Lampedusa dove il 5 ottobre scorso furono riunite e allineate le centinaia di bare dei migranti morti nel naufragio avvenuto due giorni prima al largo dell’isola: 366 i morti, 20 i dispersi per quella che viene indicata come la più grande tragedia di questo secolo nel mar Mediterraneo.
Nell’inquadratura sessanta bare in legno scuro, quattro minuscole bianche, un fiore su ognuna, militari e protezione civile allineati, fotografi dietro gli obiettivi per documentare al mondo intero la terribile strage di migranti. “Eravamo decine di colleghi là dentro – commenta Parrinello - credo abbiano scelto la mia foto per la particolare angolazione dall’alto che inquadra tutta la scena: avevo trovato una scala e, senza pensarci un attimo, sono salito sù”.“Non dimenticherò mai l’odore della morte che si respirava in quell’hangar”, racconta poi il fotoreporter nel ricordare gli istanti precedenti a quello scatto, il dubbio se aprire o no le porte alla stampa, la coraggiosa decisione del sindaco Giusi Nicolini. “Accanto alle bare chiuse, c’era ancora qualche sacca termica aperta con i corpi in stato di decomposizione. L’atmosfera era cupa e pesante. Forze dell’ordine, soccorritori e volontari della protezione civile si muovevano in un silenzio irreale, concentrati sul quel terribile lavoro di riconoscimento e catalogazione delle salme. Giornalisti e fotografi documentavamo perché tutto il mondo sapesse. Fuori era la disperazione dei sopravvissuti: grida strazianti e pianti che sembravano rimbombare fra le contrade di Lampedusa. Ero abituato a ritrarre i soccorsi, con la gente operosa che accoglie, si rimbocca le maniche, pronta a fare e a dare speranza. Ma in quei giorni, a Lampedusa, ho trovato solo disperazione: non c’era più nulla da fare se non seppellire quelle centinaia di sfortunati”.
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