Cremona lo ricorda col lutto cittadino e una messa in suffragio, Londra ne protegge la memoria nella privacy di Chelsea e dei suoi cari. Gianluca Vialli non c'è più, ma a giudicare dalle sciarpe appese all’entrata di Stamford Bridge non se ne è mai andato. Lo farà con esequie strettamente private, per le quali anche il giorno - per volontà della famiglia - è riservatissimo. Se Cremona è sempre rimasta la città del cuore, e degli affetti familiari, Londra per Gianluca Vialli ha rappresentato fin da subito la sua finestra sul mondo. La sua città d’adozione, dove ha voluto trasferirsi per scoprire un nuovo calcio prima, viverci dopo, nel secondo tempo della sua vita. Innamorato del suo caos disordinato, affascinato dalle mille possibilità che offre la capitale britannica, vissute con stupore, divertimento e curiosità. E dove, quasi subito, Vialli si è sentito a casa. Accolto e protetto nei suoi rifugi preferiti. Come il ristorante San Lorenzo, il favorito di Lady Diana, che gli aveva dedicato persino un primo, la «pasta alla Vialli»: penne al pomodoro, basilico e mozzarella filante. Era amante delle cucine esotiche, ma con un debole per quella italiana. Come conferma Aaron Rutigliano, titolare del ristorante Gola, a due passi dallo Stamford Bridge. «Gianluca era un vero gentleman, era spesso ospite nel mio locale - lo ricorda Rutigliano -. Veniva con la famiglia, o in compagnia di Antonio Conte. Non aveva richieste stravaganti, amava mangiare semplice, bruschette e penne al pomodoro. Ma che classe! La quintessenza dell’understatement inglese. Tantissimi calciatori frequentano il mio ristorante, ma lui era diverso, non mi ha mai fatto pesare chi fosse. Di una educazione e disponibilità unica». Sbarcato nel Regno Unito nel 1996, e subito diventato icona del Chelsea, contribuendo alla rivoluzione della Premier League: il primo manager a schierare una squadra composta interamente da giocatori stranieri. Un precursore, che di Londra amava proprio il suo carattere innovativo, spregiudicato, la sua vibrante energia. Anche per questo - aveva spiegato in un’intervista qualche anno fa - aveva scelto di restarci, una volta appesi gli scarpini al chiodo. Galeotto anche l’incontro con la futura moglie, Cathryn, una ex modella oggi affermata arredatrice d’interni, e madre delle sue bambine, Olivia e Sofia, entrambe nate a Londra. Come a voler ribadire il forte legame, ora anche di sangue, con la città. Come molti espatriati, anche Vialli ha cambiato diverse abitazioni, ma senza mai allontanarsi troppo da King's Road, l'arteria dello shopping che attraversa il quartiere di Chelsea. Qui lo si poteva vedere camminare, riconosciuto ma mai assillato, anche nei suoi anni di massima popolarità. L'Inghilterra gli piaceva anche per questo, per il rispetto della privacy riservato anche alle star. Che gli consentiva una vita normale, come di frequentare - soprattutto nei suoi anni da calciatore - i locali più alla moda senza dare troppo nell’occhio. Tra i quali lo Sketch, un magnifico club ospitato nell’ex maison dello stilista Dior. Vialli - nelle sue stesse parole - amava Londra perché sa essere cosmopolita ed inclusiva, multietnica e sorprendente. Quell'equilibrio in continua evoluzione, tra libertà e dovere civico. «Qui puoi fare quello che vuoi, ma poi rispetti sempre la coda, e paghi le tasse», amava ripetere. Un’affinità elettiva giustificata anche dalla vocazione sportiva della capitale. Se erano rare le apparizioni allo Stamford Bridge, come per una forma di pudore, non mancava mai l’appuntamento di Wimbledon: varcava i cancelli dell’Old England Club ogni anno con rinnovato stupore, e sincera ammirazione, per quella tradizione ultrasecolare. E poi c'era la sconfinata passione per il golf, che aveva sostituito il calcio come passatempo prediletto. Al Dukes Meadows Golf, club di Chiswick era di casa, il sabato mattina. Qui si allenava in campo pratica, assistito da un coach, nonostante un handicap da semi-professionista. Da inguaribile perfezionista, non smetteva di allenarsi per migliorare il suo swing. E poi Twickenham, il tempio del rugby, scoperto dopo essere stato invitato una volta dall’ex compagno Dennis Wise. Senza dimenticare Wembley, lo stadio dell’ultima redenzione con la Nazionale.