MILANO. Quando si dice che la musica unisce. Quando si dice che non conosce confini geografici. E soprattutto che è fatta da musicisti diversi che hanno come denominatore comune il mettere al bando lo stereotipo. L'uniformità. Franco Battiato esce per la Universal Music Del suo veloce volo (traduzione italiana di Frankenstein su Fleurs 2), con un live album inciso il 2 settembre 2013 all'Arena di Verona. Già dal titolo, si consacra il sodalizio tra il maestro per eccellenza della musica italiana e la versatilità di Antony & the Johnsons, per interpretare i rispettivi successi in un affascinante dialogo musicale. Ad accompagnarli, la Filarmonica «Arturo Toscanini» diretta da Rob Moose per Hegarthy, e da Carlo Guaitoli per Battiato. Il cantautore di Milo si incontra con l'autenticità del songwriter newyorkese, quel compositore «dalla struttura musicale complessa e plurima». Nota per nota curata nel singolo dettaglio, con semplicità e limpidezza del suono. Oltre alla qualità dell'arrangiamento, è il canto a rendere unico il tutto.
«È stata una di quelle cose che arrivano di sorpresa. Doveva essere un concerto, poi è diventato un disco live», dice il musicista siciliano. «Ci accomuna la stima per la vocalità reciproca. Trovo che il modo in cui abbia cambiato le note di As tears go by sia straordinario».
Il disco si apre con un lungo «intro» affidato agli archi per una delle migliori composizioni di Antony Hegarty, Cripple and the starfish, tra vocalità quasi gospel che in crescendo proseguono per altri quindici brani (di cui Up patriots to arms, Inneres Auge e la canzone che dà il titolo all'album, mai pubblicati live) in cui le voci soliste lasciano ampio spazio a duetti unici. Torna (dopo tanto tempo) anche Alice in I treni di Tozeur e La realtà non esiste. «Averla con me, è stata una cosa bella e rara», dice Battiato. «Lei ormai ha scelto di condurre una vita appartata». E alla sua richiesta di scriverle una delle canzoni per Sanremo (lui che lì la portò alla vittoria nell’81 con Per Elisa), «non so se ci riuscirò», risponde. «C'è poco tempo. Sono sempre in giro e avrei bisogno almeno di un pianoforte. Lo farò solo se la canzone sarà all'altezza». Beh, la cosa non stupisce se è il primo lui a cercare perfezione, «se penso che quando facevo musica sperimentale ero insopportabile. Di quello che ho fatto butterei i due dischi di musica leggera».
Un Battiato poliedrico e inarrestabile. «Probabilmente si avvicina il mio momento finale», commenta così, sorridendo, il suo attivismo. Attualmente impegnato nei concerti del progetto Diwan che unisce musicisti del Mediterrano, venerdì sarà al Festival del Cinema di Torino per Temporary Road, un film diretto da Giuseppe Pollicelli e Mario Tani che racconta la sua vicenda artistica e umana. Subito partirà per Katmandu, come regista (questa volta) per «un documentario sulla morte e sull'aldilà commissionatomi da un operaio palermitano in pensione. Il budget è di 50 mila euro ma ce la faremo». E non risparmia battute sulla politica dove, «deluso dall'esperienza di assessore», non voterà alle primarie del Pd. «Resto ancora convinto che si ci fosse stato sufficiente coraggio in Sicilia sarebbe stato possibile compiere una rivoluzione».