PALERMO. Il gatto selvatico siciliano ha un patrimonio genetico «unico» e distinto dagli altri esemplari italiani. Popolazioni isolate vivono sull’Etna, sui Nebrodi e sulle Madonie. La specie però è a rischio.
Il gatto selvatico siciliano possiamo definirlo «unico», o quanto meno diverso dagli altri gatti selvatici avvistati in altre parti d’Italia. Una recente ricerca, condotta da un giovane ricercatore e zoologo, Stefano Anile, con la collaborazione della Ripartizione Faunistica Venatoria di Catania e dell’Ispra, ha infatti dimostrato «l’unicità del suo patrimonio genetico», dice Stefano Anile. Dunque, in parte differente dagli altri individui di Felis silvestris, come chiamato scientificamente, di origine europea.
«Se confrontiamo il gatto siciliano con quello friuliano (anche loro popolazione «isolata» in un certo senso)- spiega Anile - troveremo, paradossalmente, più differenze fra questi due che fra un gatto selvatico e uno domestico». Sebbene quello che comunemente chiamiamo gatto domestico discenda in realtà dal gatto selvatico africano. Il gatto selvatico siciliano, invece, discende da quello europeo. Eppure il «siculo» è a sua volta differente: «La spiegazione sta nel fatto che la Sicilia è appunto un'isola - chiarisce Stefano Anile - il gatto selvatico (come anche altre specie siciliane, ndr) si è adattato a questo ambiente e il risultato è appunto un patrimonio genetico unico, nettamente distinto rispetto alle popolazioni di gatti selvatici presenti in Italia». Dalle differenze genetiche ovviamente discendono peculiarità morfologiche precise: «Risulta avere una colorazione di fondo molto più scura, per una maggiore quantità di melanina nei pigmenti che costituiscono il pelo, e dimensioni più grandi». In generale, il gatto selvatico è considerato «il carnivoro terrestre più «grande» attualmente vivente in Sicilia, dopo ci sarebbe la martora, che ha dimensioni però decisamente inferiori» commenta Anile. Le popolazioni più numerose, complessivamente si stima circa un migliaio di esemplari, sono state avvistate sull’Etna e nei boschi delle Madonie e dei Nebrodi. Un centinaio nella zona etnea quelle studiate grazie alle foto trappole di cui si è servito Stefano Anile. Due avvistamenti insoliti sono avvenuti invece alla Riserva dello Zingaro. Qui, la scorsa estate, un primo esemplare è stato visto da un gruppo di volontari della Lipu di Trapani, guidato dal presidente Nino Provenza; mentre un secondo è stato fotografato dal professore Mario Lo Valvo, del dipartimento di Zoologia applicata dell'Università di Palermo. «Questo testimonia la capacità di questi animali di adattarsi ad habitat molto differenti: fra l’Etna e lo Zingaro le differenze territoriali sono notevoli» commenta Anile. Nonostante ciò, però, il gatto selvatico siciliano è a rischio, per le tante minacce a cui è esposto: il bracconaggio, l'ibridazione con il gatto domestico, la costante erosione del suo habitat. «Una volta scomparso, proprio per l’unicità dei suoi geni, non si potrà più tornare indietro». Del gatto selvatico «nostrano» se ne parlerà anche in occasione di un meeting internazionale fra i maggiori studiosi della specie, che si terrà a fine novembre in Francia.