Chissà che il merito sia della forma e del colore che richiamano alla mente un romantico cuoricino o del gusto che ben si sposa con zucchero, panna e cioccolato. Quel che è certo è che la fragola resta oggi uno dei cibi più amati dagli italiani.
Rappresentando il 2 per cento degli acquisti di frutta in termini di volumi e il 4 come spesa, questo prodotto nel 2013 vanta in Italia superfici di coltivazione pari a 3.700 ettari. E la Sicilia, secondo i dati diffusi dal CSO (Centro Servizi Ortofrutticoli), sembra proprio fare la parte del leone: con 353 ettari destinati alla coltura di fragole, è la quarta regione a livello nazionale, dopo Campania (890 ettari), Veneto (616) e Basilicata (540). Ancora più incoraggiante, poi, è sapere che negli ultimi quattro anni si è registrata una costante crescita del numero di spazi destinati a questa coltivazione: 41 ettari in più dal 2009 ad ora, di cui 5 in più soltanto rispetto al 2012.
La Sicilia, però, si distingue per due importanti produzioni di fragole: da una parte, quella che ricade nel territorio trapanese compreso tra Marsala, Mazara del Vallo e Campobello di Mazara; dall’altra, quella di Sciacca e Ribera, i cui campi sono vocati alla coltivazione di fragoline.
Secondo uno studio nato dalla collaborazione tra il Cra (unità di ricerca per la Frutticoltura di Forlì) e la Soat di Mazara del Vallo, con il coordinamento di Maria Luisa Palermo, referente regionale per l'ortofloricoltura, proprio nell'area della fascia costiera marsalese ricade oltre la metà della superficie fragolicola siciliana con 160 ettari a disposizione, seguita da Siracusa (60 ettari), Maletto (30 circa), Nebrodi (30) e Sciacca (20).
«L’area siciliana – dichiara Walther Faedi, direttore del Cra – ha le potenzialità per rifornire i mercati italiani e anche esteri per un lungo periodo, ma soprattutto si concentra nei mesi invernali in cui la concorrenza di altre aree è del tutto marginale». Tuttavia «è ancora troppo elevata la quota di prodotto in forma anonima che arriva poi sui mercati – continua –, contraddistinto da marchi che poco hanno a che fare con l’area di produzione siciliana. È necessaria una maggiore visibilità del prodotto siciliano – conclude –, ricercando le varietà che più identificano il territorio».
E proprio con la necessità di preservare l’unicità del prodotto, da poco meno di un anno Slow Food ha inserito tra i suoi presidi anche la fragolina di Sciacca e Ribera. L’attenzione resta, comunque, alta e non tarda ad arrivare l’allarme dei produttori: sempre meno ettari destinati a questa coltura, scarsa manodopera qualificata e un prodotto assai delicato per composizione. «Del suo nome negli anni passati si è assai abusato – esordisce Antonino Tornambè, referente dei produttori del presidio –, siamo ad un punto in cui è necessario fare ordine e chiarezza: vogliamo darci un orientamento, gettare le basi per un disciplinare di produzione comune». La fragolina di Sciacca e Ribera, come spiega l’esperto, è un «prodotto delicato. La sua composizione di tipo granulare e non filamentoso – dice –, rende più complesse le opere di raccolta e conservazione. Ci vuole personale qualificato e disposto ad un lavoro decisamente duro, che oggi scarseggia come non mai. In più – continua –, dopo 16-20 ore questa fragola perde parte delle proprie caratteristiche organolettiche, per cui non è possibile esportarla oltre i 100 chilometri dal luogo di produzione». Ad aggravare la situazione, denuncia Tornambè, anche «la progressiva riduzione degli ettari destinati alla sua coltivazione: negli anni Settanta erano centinaia, contro gli appena 20 di oggi».