Martedì 30 Aprile 2024

Tony Canto: "Con la mia musica voglio unire l'Italia"

MILANO. Valigia di cartone, coppola in testa e passaporto alla mano: “l’italiano federale” Tony Canto è pronto a partire, ma anche a tornare nella sua terra. Il cantautore messinese, arrangiatore, produttore e chitarrista, ha fatto della musica il suo stile di vita e di pensiero. È uscito qualche giorno fa il suo ultimo lavoro discografico, “Italiano federale” (Leave/Universal), terzo disco pieno di arrangiamenti poliritmici. Un viaggio tra suoni della scuola melodica italiana e sonorità nordest brasiliane e del centro America, ma anche francesi e british. Una world music, un ponte lungo chilometri tra la Sicilia e Bahia. Un amore per l’Italia, tutta bella e che deve aspirare all’unità. Un disco “garibaldino” e “carbonaro”, come lui stesso l’ha definito, “Con la mia musica tento di unire l’Italia, come ha fatto Garibaldi e i suoi mille cuori. Anche da un punto di vista culturale. Ma è anche un disco 'carbonaro' perché oggi fare musica e scriverla senza l’ambizione di fare pop o altro, ma mirando ai contenuti, è come essere un po’ carbonari. Fare il cantautore è come fare il carbonaro. Ma è anche un disco 'federale'. Le innumerevoli musiche regionali che abbiamo (io per primo ne canto qualcuna in dialetto siciliano!), sono un plus valore che dovrebbe essere venduto come valore di unità, non di divisione. La poliedricità regionale non significa divisione politica.”
Un disco pensato per i 150 anni dell’Unità d’Italia?
“In realtà, no. Non è stato voluto, me ne sono reso conto dopo che il disco era già pronto. Il leitmotiv è di amore per l’Italia, tema abbastanza politico anelante all’unità. Il tutto è nato dalla composizione de 'Il Pasionario' e poi di getto ho composto tutti gli altri. Per la prima volta ho messo insieme dei brani che hanno un minimo denominatore comune, quello d’amore per l’Italia e per le sue contraddizioni”. Ma la condizione dell’emigrante italiano?
“Il mio disco viene condotto con molta ironia. La stessa immagine in copertina dell’emigrante. È un cavalcare l’assurdo dell’esasperazione dell’eventuale federalismo, in un periodo in cui c’è più che mai una necessità prepotente di unità. L’attuale gestione dello sbarco dei tunisini e il disaccordo tra Italia, Germania, Francia mi sembra assurdo. “Italiano federale” è di per sé è una contraddizione in termini. Italiano per me è più un aggettivo che un sostantivo, un termine da ricondurre soprattutto all’italianità che si trova nei nostri connazionali all’estero. Sono loro che hanno una lente d’ingrandimento attraverso cui poter vedere meglio ciò che accade. “Federale” contrasta nettamente con la parola che lo precede. Non c’è dietro una motivazione politica, ma un discorso economico in senso spicciolo. Parlare oggi di lega mi sembra sinonimo di un nuovo modo per trovare lavoro intriso di nepotismo. Andare a dividere l’Italia mi pare assurdo. L’italiano federale è personaggio di fumettistica visione: e come ai vecchi tempi, si accinge a partire con la sua valigia di cartone, come se si dovesse imbarcare su una nave per gli Stati Uniti. Un tema anacronistico e demagogico, ma una sorta di demagogia al contrario, con la presa in giro”. Non tanto anacronismo, mi pare.
“Sì, infatti. C’è una canzone con cui peraltro chiudo il disco, 'Ti amo Italia': c’è un ragazzo genio che cerca lavoro e fa fatica tra i 'prego attenda il turno' dei 'vecchi in coro'. Credo fermamente che più rispetto si dà agli anziani più civile è la società, ma non sono d’accordo nel non dare spazio ai giovani. Questo si vede in politica, e non solo: se fosse governata da persone più giovani avremmo una società più dinamica”. Chi è “Il pasionario”?
“È un vecchio rivoluzionario cubano novantenne, tratto liberamente da un romanzo di Gabriel Garcia Marquez, 'Memorie delle mie puttane tristi'. Ho immaginato questo novantenne collaboratore di Che Guevara che, rinvigorito nonostante l’età, è disposto ad andare a fare una bella rivoluzione in Italia dove non c’è nessuno in grado di condurla”. Ironia amara?
“Sì. L’ispirazione di per sé è drammatica, ma tutto il disco è ironico. Oggi fare polemica è come mettere benzina sul fuoco. E questo lo ritengo inutile. Meglio essere ironici”. Noi siamo dei “superstiti sfuggiti all’infernale ruota”?
“Alcuni di noi sì. Il 'superstite' è la condizione di un siciliano che vive in un limbo, tra don Chisciotte e Ulisse. I siciliani che vivono in Sicilia sono molto lamentusi. Sono i don Chisciotte della situazione. Un siciliano che vive all’estero, invece, parla sempre della terra natìa e vive con il sogno di poterci tornare dopo anni di sacrifici. È la condizione di Ulisse che brama di tornare a Itaca. Il siciliano nel limbo tra don Chisciotte e Ulisse. Il superstite è colui che decide di rimanere in Sicilia e che riesce a sopravvivere in questa terra senza lamentarisi. Io sono uno di questi che grazie all’ironia sono superstiti. Molte volte mi si è prospettato di andare via, in America. Ma ho deciso di rimanere qui”. E l’Italia, piena di “mafiosi, preti, loschi faccendieri e leggi finanziarie”?
“Questa è una terra maledetta, piena di contraddizioni. L'italiano federale è però felice non appena mette piede in Italia nonostante le cose che non vanno”. Tony e il “circolo” dei catanesi?
“Ho collaborato per tantissimi anni con Mario Venuti. Lo stimo veramente tanto, è compositore e musicista eccezionale. Con lui condivido il gusto per la musica british dagli anni 80 fino ad arrivare ai Coldplay e con lui mi sbizzarrisco come chitarrista elettrico. D’altronde Catania è più london come stile, Palermo più Rio. Con Carmen Consoli, invece, ho collaborato saltuariamente ma resta una tra le pochissime artiste con cui mi piacerebbe lavorare”. Chi sarai?
“Mi sveglio la mattina, mi guardo allo specchio e ancora non capisco che faccia io abbia. Questa cosa l’ho letta anche nella biografia della cantante portoghese Rodrigues. Siamo in continuo divenire. Chi sarò domani lo saprò quando mi sveglierò. Sarà lo specchio a dirmelo. Perché c’è una commistione nell’essere. Come tantissime particelle di un uno. È una canzone mistica 'Chi sarò'. Non c’entra nulla con il federalismo dell’animo”.

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