Mercoledì 18 Dicembre 2024

Pogacar scrive la storia: Mondiale capolavoro, va via a 100 km dal traguardo e resiste fino al traguardo

 
 
 
 
 
 
 

Un’impresa epica che rimarrà nella storia non solo del ciclismo ma dello sport in generale. E adesso si può dire non più a bassa voce: Tadej Pogacar è il nuovo Merckx, il «Cannibale» del ciclismo del nuovo millennio, mentre c’è chi arriva a paragonare il fenomenale sloveno a cosa sono stati Michael Jordan per il basket e Roger Federer per il tennis. A Zurigo Pogacar ha incantato tutti, cogliendo il 23/o successo stagionale, e vincendo il Mondiale dopo aver fatto suoi, nello stesso anno, Giro e Tour, in entrambi i casi portando a casa anche sei primi posti di tappa. Quindi non solo eguaglia il tris di Merckx (1974) e Stephen Roche (1987), ma fa perfino meglio. Ma non è tutto, perché il marziano della bicicletta, che nel 2024 ha vinto anche una classica come la Liegi-Bastogne-Liegi, è andato a prendersi la maglia iridata scattando quando all’arrivo mancavano ancora cento chilometri. Sì, proprio così: 100. In quel momento se n’è andato dal plotone dei migliori assieme all’azzurro Bagioli, che ha perso quasi subito contatto, mettendosi all’inseguimento di un gruppetto di sedici outsider che, in quel momento, erano davanti a lui. Successivamente li ha ripresi, ha pedalato assieme a loro per poco più di una ventina di chilometri e a quel punto ha salutato la compagnia con un altro allungo, quando la strada ha preso a salire: in quel frangente mancavano 76 chilometri alla conclusione della gara iridata. Insomma, una cavalcata da leggenda, cose mai viste, anche se Pogacar aveva già fatto una cosa del genere, il 2 marzo scorso alle Strade Bianche, quando sullo sterrato del Senese aveva piazzato la «botta» decisiva a 81 km dalla conclusione. Tutti avevano sgranato gli occhi, ma era stato un segnale, peraltro eloquente, su quanto sarebbe successo nel corso della stagione. Pogacar a Zurigo è partito talmente presto che ha preso in contropiede i suoi avversari, e alla fine Remco Evenepoel ha avuto l’onestà di ammetterlo («Mi ha sorpreso, non credevo che partisse così presto», ha detto il belga, alla fine quinto). L’olimpionico ci ha dato dentro nel finale per prendersi almeno una medaglia, ma prima è stato sorpreso da un bruciante scatto di Ben O’Connor, che è andato a prendersi quella d’argento, poi non ha avuto le gambe per fare lo sprint del bronzo, vinto dal campione uscente Mathieu Van der Poel. L’olandese è stato l’altro protagonista della fase finale della corsa, quando Pogacar, che ha avuto un attimo di flessione, aveva visto ridursi a 38" il vantaggio che aveva sugli uomini al suo inseguimento. Alla fine ha dato alla Slovenia il suo primo titolo mondiale della storia con 34" di vantaggio su O’Connor e 58" su VdP. E gli italiani? Semplicemente inesistenti, come succede troppo spesso nelle corse che contano, sia le classiche che i grandi giri. Il migliore è stato Giulio Ciccone, 25/o a 6’36” dal nuovo campione del mondo. Un risultato in linea con la situazione attuale del settore professionistico, o Elite che dir si voglia, sperando nel futuro e che alcuni giovanissimi crescano bene: proprio oggi Lorenzo Finn, che a Zurigo tre giorni fa aveva vinto la gara mondiale degli Juniores, si è imposto anche nella Olgiate Molgora-Madonna del Ghisallo, dando un’altra dimostrazione di classe, che però dovrà essere confermata ad alto livello, ovvero con il trascorrere degli anni. Intanto, nonostante la costernazione per la morte della diciottenne Muriel Furrer, la premiazione c’è stata, e Pogacar ha potuto indossare quella maglia iridata a cui teneva così tanto. «Non posso credere a quello che è successo - le sue parole dopo il trionfo -. Dopo una stagione del genere mi ero messo molta pressione addosso, la sentivo perché sapevo che era una giornata in cui non potevo sbagliare: noi della Slovenia siamo venuti qui per il successo. C’era una fuga pericolosa davanti e la corsa si è aperta molto presto. Magari ho fatto un tentativo stupido, visto che avevamo in mente di tenere la corsa sotto controllo e questo attacco non era pianificato. Non so a cosa ho pensato a quel momento, sono soltanto partito. Una corsa molto dura, ma è stato incredibile. Volevo questo titolo assolutamente». E poi, la chiusura in cui forse Tadej comincia a rendersi conto di cosa ha fatto: «Dopo aver lottato per il Tour e tante altre corse, avevo l’opportunità di giocarmi davvero un Mondiale. Questo era l’ultimo grande obiettivo del mio 2024 dopo una stagione perfetta. Sì, lo è stata». Non si può che essere d’accordo con lui, il Pelé della bicicletta.

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