«Sono stato trattato come tutti gli altri». Jannik Sinner non ci sta a passare per il «raccomandato», l’atleta al quale sarebbe stato fatto uno sconto dalla Itai solo perché è il numero 1 dell’Atp, e replica con fermezza a chi in questi giorni lo sta attaccando per l’affaire doping.
Seppur non esplicito, il riferimento dell’altoatesino è a Carlos Alcaraz e Novak Djokovic, ed a quel loro «non detto» sull’intera vicenda. Dai commenti dei due non trapela alcuna solidarietà nei confronti dell’avversario, piuttosto disagio. La solidarietà è invece andata a chi crede che siano stati utilizzati due pesi e due misure nell’adozione delle sanzioni.
Ma la sentenza dell’agenzia autonoma che valuta i casi di doping scagiona Sinner dall’uso di sostanze per migliorare le proprie prestazioni sportive. E, fino a prova contraria, sarebbe difficile affermare il contrario se non andando incontro a querele milionarie. Le accuse, velate o esplicite, hanno quindi cambiato bersaglio: l’obiettivo è il presunto favoritismo che sarebbe stato rivolto dall’Itai a Jannik. Si tratta però di un marchio di infamia che l’italiano non accetta. «Se la situazione è diversa, le cose possono essere diverse», sintetizza con freddezza l’altoatesino. Ma, per quanto Sinner faccia della tenuta psicologica una delle proprie armi migliori, sia in campo che fuori, una vicenda di tale portata non può non lasciare segni: «Spero che nessuna altro atleta si trovi nella mia condizione e che la gente capisca che ho potuto continuare a giocare perché abbiamo subito capito come il Clostebol fosse entrato nel mio corpo - ha sottolineato il campione di Sesto Pusteria - Ma ho vissuto momenti difficili. A Wimbledon ho avuto notti insonni per i pensieri».
Resta il campo che è il giudice supremo di questo sport. «Ho aspettative basse, al momento. Anche qui agli Us Open», dice ancora Jannik. «Questi mesi sono stati duri. Ce l’ho fatta perché sapevo di non aver fatto nulla di sbagliato. La mente ha influito, non solo l’infortunio all’anca: a Wimbledon ho avuto notti insonni e in campo si è visto l’effetto. Non giocavo felice. Ora sono contento di essere qui, non vedo l’ora. Ma ho bisogno di voltare pagina, per ritrovarmi a pieno devo prendermela con calma». Ma non sarà facile. Ancora risuonano le parole della sua prima conferenza negli Usa, quando il ragazzo con i capelli rossi si è lasciato sfuggire: «Adesso so chi è mio amico e chi no».
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