Solo un pugno, appena 46 secondi, il tempo di togliersi il casco e gridare «basta, io non combatto più». Dice che non è una resa e lo fa tra le lacrime Angela Carini, stordita un po’ da quel jab che le ha rifilato in avvio di match Imane Khelif, molto dalle polemiche soprattutto politiche che hanno accompagnato questo esordio dell’azzurra del pugilato a cui il sorteggio aveva assegnato la contestatissima avversaria algerina. Idolo in patria, ambasciatrice Unicef, ma avversata dalla federazione internazionale di boxe (e per questo esclusa dallo scorso mondiale organizzato dall’Iba appunto) perché dai test effettuati risultava iper-androgina, insomma con testosterone da uomo, ma donna all’anagrafe e non solo per il Cio. E quindi regolarmente tra gli atleti della famiglia olimpica in questi Giochi parigini.
«Mi ha fatto malissimo, ho sentito troppo dolore», ha detto però l’azzurra, piangendo, per chiarire il motivo di quell’apparizione-lampo. Smentiscono ci sia stata premeditazione nell’abbandono e quella manciata di secondi è nata lì, nel turbinio di dolore ed emozione. E così nel palazzetto di Villepinte, in una Parigi che non è Parigi, zona industriale, decisamente meno Lumiere del cuore della città, il tanto atteso confronto è finito ancora prima di cominciare: sulle note di uno scontato «Volare» versione gipsy le due sono salite sul quadrato, tribune affollatissime, tante bandiere dell’Algeria. Una, grande, srotolata fino al pavimento, una donna velata, le maglie verdi del colore del paese nordafricano, tifosi che non hanno mai smesso di incitare la pugile «Imane Imane» e speravano forse che lo show durasse per tutte le tre riprese previste.
Ma al primo sfiorarsi, un destro che finisce sul naso, l’azzurra si avvicina alle corde, dal suo coach Emanuele Renzini, si toglie il casco, una goccia di sangue rimbalza sull’elastico dei pantaloncini: lei è scossa, fa cenno anche con le braccia. Stop non vado avanti. Passa qualche altro istante e poi l’arbitro guatemalteco proclama la vittoria di Khelif per abbandono dell’avversaria. La curva esulta, Carini in lacrime si inginocchia al centro del ring. «Non mi sono arresa, ne esco a testa alta sono e resto una guerriera - le parole della venticinquenne napoletana -, volevo esserci, ho pensato a mio padre e a Dio. Hanno voluto così». Il papà scomparso tre anni fa, faro nella vita fuori e dentro il quadrato. Lei pensava solo di dover tirare i pugni come fa da dieci anni, per oltre cento incontri: e invece si è trovata in mezzo a una «bomba mediatica», come l’ha definita il suo coach, Emanuele Renzini, con gli esponenti di governo che hanno gridato allo scandalo, infuriati per quella che ritenevano una sfida impari. Una donna contro un uomo, Davide contro Golia, affaire che ha scatenato perfino il dibattito che divide conservatori e progressisti. E se Matteo Salvini, il primo a scagliarsi contro «il trans» Khelif, ora appunta la medaglia sul petto della pugile azzurra («Brava Angela e vergogna a chi ha dato l’ok al match»), la premier Giorgia Meloni, sbarcata a Parigi a tifare gli azzurri ha ribadito le sue convinzioni, espresse «già tre anni fa»: «Le tesi estreme incidono sui diritti delle donne. Non è discriminazione, ma equa competizione». Poi, in serata, l’incontro con Carini in una saletta riservata del Cio.
Il caso ha avuto eco mondiale, ha provocato le reazioni di Elon Musk («Gli uomini non possono combattere con le donne»), e di nuovo JK Rowling: «Carini ha subito un’ingiustizia brutale», ha detto l’autrice di Harry Potter, rilanciando l’hashtag IStandWithAngelaCarini, subito virale.
Diversa la posizione di Irma Testa, compagna azzurra di Carini e icona dei diritti Lgbtq da quando ha fatto coming out: «Non giudico, mi metto anche nei panni della Khelif: ma sulla differenza tra testosterone e Dna e le conseguenti analisi fa fatta chiarezza. O il pugilato uscirà dai Giochi».
La bagarre aveva generato «tante pressioni», spiegano dallo staff del pugilato azzurro. «Non è giusto», avrebbe detto anche la stessa pugile quando ha scoperto il nome della prima rivale, ma qualcuna del gruppo (Susie Canfora ai Giochi del Mediterraneo) i guantoni con la Khelif li ha incrociati. Assesta pugni forti, ammettono, però Carini «poteva anche vincere», sottolinea il tecnico, che esclude la premeditazione nell’abbandono. Fatto sta che l’atleta di Napoli ha detto stop ancora prima di combattere. «Io non giudico nessuno - ha detto piangendo -, io non sono nessuno per farlo, so solo che sono arrivata qui con tanti sacrifici, che volevo giocarmi la mia medaglia, non volevo che andasse così. Ma tornerò sul ring che è la mia vita».
Khelif, in difesa della quale si era già mosso il comitato olimpico indignato per le «accuse false» contro la loro atleta, sul quadrato parigino salirà ancora «più forte che mai», quasi investita di una missione: «Ringrazio tutto il popolo algerino, ora voglio l’oro» ha detto la ragazza nata a Tiaret, 25 anni, maglia rossa e treccine nei capelli. Con Angela un saluto accennato dopo il match lampo. Nel palazzetto nello spicchio più a nord i Parigi si sono spente le luci, ma il clamore no.
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