Novak Djokovic non sarà in campo agli Australian Open di tennis. Il serbo, n.1 del mondo, che ieri era volato a Melbourne per partecipare al primo Grande Slam della stagione grazie a un permesso speciale, poco fa si è visto annullare il visto per mettere piede nel Paese dei canguri ed è stato invitato a ripartire nelle prossime ore. Per lui, dunque, niente torneo. Djokovic era atterrato all’aeroporto di Tullamarine alle 13,30 italiane di oggi ed è stato trattenuto, perché il suo visto non era in regola. Il tennista serbo ha atteso diverse ore in aeroporto, senza potersi muovere ed è stato anche interrogato. Le autorità hanno rilevato che l’atleta non avrebbe fornito prove adeguate a soddisfare i requisiti per entrare in Australia; in altre parole, Djokovic non ha esibito la documentazione attestante il diritto a un’esenzione medica legittima, dunque è stato invitato a lasciare l’Australia. I suoi avvocati, informano i media locali, faranno ricorso. Ma potrebbe essere troppo tardi. Prigioniero in un limbo politico-burocratico, Djokovic ha sperato fino all’ultimo di poter tentare un nuovo assalto allo Slam australiano. Un’esperienza, la sua, alla Tom Hanks nel film «The terminal», quando credeva di aver ormai vinto il match contro le rigide regole anti Covid-19 previste in Australia. La polizia di frontiera lo ha trattenuto fino alla mattina in una stanza dell’aeroporto Tullamarine, stessa sorte per i componenti del suo staff, tra i quali Goran Ivanisevic, che ha pubblicato sui social una foto del «bivacco». Di certo, non era cominciata nel migliore dei modi il già contrastato percorso di Djokovic per provare l’assalto alla decima vittoria agli Open d’Australia, un torneo «riservato ai vaccinati», ma che aveva fatto un’eccezione per il n.1 al mondo. Se l’ok alla partecipazione del serbo al primo slam stagionale era agognato da organizzatori, tifosi e anche da colleghi, si è rivelato un boomerang non solo per il tennista. I politici del Paese, di fronte all’indignazione e alle polemiche crescenti per l'esenzione che gli era stata concessa, hanno preso le distanze. Il primo a pagarne le conseguenze è stato lo stesso Djokovic che, dopo aver annunciato ieri con enfasi l’ottenimento dell’esenzione, era salito sul primo volo per l’Australia col proprio staff, ma all’arrivo a Melbourne è stato bloccato dagli ufficiali della polizia di frontiera. Secondo i media locali, il problema riguardava la documentazione presentata dal serbo per ottenere l’esenzione medica e il visto presentato da lui e dallo staff che non prevede invece esenzioni mediche per chi arriva dall’estero. Ma già mentre il serbo in volo, del tutto ignaro, in Australia la polemica divampava come un incendio e sulla questione è intervenuto addirittura il premier, Scott Morrison, che ha minacciato di far rientrare il serbo «col primo aereo» se la sua esenzione dall’obbligo di vaccino non fosse stata giustificata. «Aspettiamo spiegazioni e prove a sostegno» di questa deroga, ha detto, aggiungendo che «non ci saranno regole speciali». Il direttore dell’Australian Open, Craig Tiley, ha esortato il tennista a rivelare il motivo dell’«esenzione medica» ottenuta. La sua domanda era stata vagliata dalle autorità federali e da quelle dello Stato di Victoria, ha spiegato Tiley, come quelle presentate da altri 26 giocatori o membri degli staff sui 3.000 circa previsti in Australia per i vari tornei. Pochi l’hanno ottenuta. Da mesi «Nole» aveva messo in dubbio la sua partecipazione allo Slam Down-Under a causa dell’obbligo per i giocatori di vaccinarsi per entrare in Australia e poter competere. Djokovic non ha mai fatto chiarezza sul proprio stato vaccinale e, ad aprile dello scorso anno, si era espresso contro la vaccinazione obbligatoria. Ora la vicenda sta creando grande imbarazzo, anche perché c'è proprio l’immagine del serbo mentre bacia il trofeo sul sito degli Open che pubblicizza il prezzo dei biglietti della finale, a partire da 550 dollari australiani, circa 350 euro.