"Per ora penso di tornare a casa il più presto possibile, e stare sempre meglio. A migliorare ogni giorno, sempre di più, fisicamente". In un’intervista al Corriere della Sera, Manuel Bortuzzo parla di come è cambiata la sua vita dal letto d’ospedale al San Camillo. E di quanto senta vicino tutto l’ambiente del nuoto. "E' diventato come una famiglia, la nostra famiglia. Mi chiedono ancora come sia possibile tutto questo. Mi vogliono bene dappertutto, è una sensazione bellissima. Li ringrazio tutti. Ad esempio ho saputo che a Mestre i ragazzi in gara hanno indossato delle magliette con la mia faccia. Ci sono persone che non mi conoscono, ma che mi dicono 'ti voglio bene'. E mi considerano un punto di riferimento. Non so spiegarmelo, ma so che è bello, molto bello". "Sono sempre stato appassionato di nuoto - racconta -. Non mi ricordo davvero quando è iniziata. Forse ho capito che faceva davvero per me guardando mia sorella Michelle che già andava in piscina. E da allora non mi sono più fermato". Un campione di riferimento? "Non so perchè, ma in questi giorni la prima persona che mi è venuta in mente è stata Bebe Vio...". La sera dell’agguato? Il proiettile che lo ha colpito "per sbaglio"? "Ricordo tutto di quella scena - spiega - almeno fino a quando ho avvertito il dolore". I due che hanno sparato? "Non li conosco. Solo dopo, quando mi sono risvegliato in ospedale, mi hanno raccontato che fanno parte di una gang, che ci sono di mezzo pugili e malavita, la mafia". Ma di loro "non mi importa proprio niente, adesso devo pensare ad andare avanti per la mia strada".