Giro d'Italia, il trionfo di Froome a Roma tra le polemiche per il manto stradale "pericoloso"
La festa va in onda solo a metà, nel cuore della Roma imperiale. E’ a pochi metri dal Colosseo che Chris Froome trionfa per la prima volta al Giro d’Italia, immerso nella maestosità della grande bellezza. Doveva essere una passerella suggestiva, in quel museo a cielo aperto che è il centro della Capitale del mondo, si è trasformata nella salita più dura sul piano dell’immagine, come nemmeno il Colle delle Finestre, lo sterrato dove si è decisa la corsa rosa. Lo show è stato offuscato dal grottesco, che ha cominciato a pedalare assieme ai 149 superstiti di una scorribanda di tre settimane, partita da Israele e conclusa nell’altra città eterna. Ma tutti avevano immaginato un finale diverso. Invece, dopo pochi chilometri, i corridori hanno cominciato a parlare fra loro, quindi con i giudici di gara, rappresentati da Rossella Bonfanti. Vari conciliaboli con Elia Viviani ("quello che vogliamo è che l’ultimo giorno di corsa il tempo sia neutralizzato, perché non si può perdere un giro all’ultima tappa. Effettivamente serviva un pò più di sicurezza"), favorito nello sprint odierno, quindi fra il veneto in maglia ciclamino e Chris Froome, la maglia rosa. Motivo del contendere le condizioni del manto stradale, che ha preoccupato i corridori al punto da costringerli a chiedere la neutralizzazione dei tempi. Detto, fatto. La corsa, sul piano dei riscontri cronometrici, si ferma al terzo passaggio. La figuraccia è servita in un afoso pomeriggio di fine maggio. «Buche e sampietrini? Sì, ma quello di oggi è un giorno di festa. C'è chi vuole far credere che si sia interrotta la corsa, quando invece i corridori hanno completato tutti i giri. Spiace il tentativo di trasformare tutto in una continua polemica. Resta un momento di sport ad altissimo livello», minimizza la sindaca Virginia Raggi, che punta l’indice contro chi strumentalizza la vicenda. Che, per la direzione del Giro, resta «un fatto sportivo». «Il Giro - fa notare la direzione di corsa - ha avuto 20 giorni per dichiarare il vincitore finale. Abbiamo scelto Roma e il suo percorso, perché voleva essere e vuole essere la passerella di un grande Giro: riteniamo che questa scelta valorizzi l’edizione 101». Chris Froome, dopo avere chiuso una fatica lunga e tormentata (le cadute di Gerusalemme e Montevergine), è una figura sgraziata e longilinea vestita di rosa, sorride e ammicca come mai. Vestito da 'Monsieur Tour' digrignava i denti, nei panni di 'Signor Girò è lo specchio della felicità. «L'Italia mi ama, io amo l’Italia». Sarà l’aria della Capitale, seconda città eterna toccata dal Giro più spirituale della storia - sarà che ormai si è abituato a convivere con i sospetti di doping, sarà che a 35 anni ha poco da temere, il Giro d’Italia ha offerto il suo volto umano: gladiatore sullo Zoncolan, sul Colle delle Finestre e dei Fori Imperiali, simpatico e brillante perfino con i giornalisti. Al Tour, se gli chiedono del doping, si irrigidisce e gli viene voglia di scappar via, al Giro no. Resta il fatto che, proprio lui, il keniano bianco, mette l’accento sul fatto che «la strada era pericolosa, hanno preso una buona decisione e alla fine hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto, neutralizzando la corsa. Non abbiamo mai minacciato di fermarci». La corsa rosa ha tutto un altro sapore e Froome relativizza, filosofeggia e diventa simpatico. La sua cavalcata rosa è stata una corsa a inseguire il connazionale Simon Yates, per 13 giorni in rosa, leggiadro e vincente a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, sul muro di Osimo e a Sappada, dove Chris mulinava senza speranze e quasi senza ambizioni. Ma Froome, che ha gareggiato con la spada di Damocle sulla testa della positività alla Vuelta dell’anno scorso. Rischia da un mese a due anni e magari di perdere tutto. O forse no.