BARCELLONA. E’ un campione di tutti, quindi della gente, e non solo una leggenda del Barcellona. 'Don' Andres Iniesta lascia il club della sua vita, quello in cui arrivò che aveva solo 12 anni, accompagnato in auto da papà, mamma e sorella. Era un ragazzino, che da quel giorno avrebbe vissuto da solo nel 'collegio' del Barcellona, alla Masìa, per diventare con il passare delle stagioni uno dei fuoriclasse 'blaugrana'. Di anni con quella maglia addosso ne ha passati 22, 6 nelle giovanili e 16 in prima squadra, arrivando a portare la fascia di capitano, ereditata da altri simboli del Barça come Puyol e Xavi.
Adesso il momento di dire basta è arrivato anche per lui perché «il tempo vince su tutto», come disse nel maggio scorso, anche lui con le lacrime agli occhi, un’altra bandiera e icona di un calcio che non c'è più, Francesco Totti. «A 34 anni, non avrei più potuto dare il meglio di me stesso, fisicamente e mentalmente a questa squadra», ha spiegato Iniesta con la voce rotta dall’emozione.
Proprio la certezza di non essere più quello dei giorni migliori lo ha spinto a cercare un calcio meno impegnativo, e che comunque non gli prospettasse la possibilità di essere un giorno rivale del Barcellona: «Tutti gli scenari fuori dall’Europa sono possibili, e a fine stagione saprete». Tradotto in parole povere, vuol dire che andrà in Cina. Lì, oltre a giocare, gli daranno la possibilità d’importare il vino di cui da qualche anno è produttore, e che in Spagna ha molti estimatori.
Ad Iniesta, campione anche di modestia, non importa di non aver vinto quel Pallone d’Oro del 2010 che avrebbe meritato: «mi è bastato essere lì con Messi e Xavi (gli altri due 'finalisti', poi vinse la Pulce n.d.r.). Invece mi tengo stretto il rispetto e l’affetto di tutto il mondo». Da questo punto di vista Iniesta in effetti ha pochi rivali. Perfino il Real Madrid, tramite il suo allenatore Zinedine Zidane, anche lui a suo tempo fenomeno, gli ha reso omaggio: «è un patrimonio che appartiene non al Barcellona ma a tutto il calcio. Per lui ho grande ammirazione». Per non parlare di quanto lo apprezzino i tifosi dell’altra squadra di Barcellona, l’Espanyol, da quando Iniesta subito dopo aver segnato il gol della vittoria nella finale mondiale del 2010 contro l’Olanda si tolse la casacca da gioco e mostrò il sottomaglia con la scritta «Dani Jarque siempre con nosotros». Era l’omaggio all’amico capitano del club concittadino morto un anno prima a Coverciano in circostanze simili a quelle di Astori. Al primo derby in casa dell’Espanyol dopo la finale mondiale, tutto il pubblico si alzò in piedi e tributò una 'standing ovation' di cinque minuti al n.8 della squadra rivale.
Questo è l’Iniesta fuoriclasse della gente, applaudito anche dal pubblico dell’Olimpico di Roma quando i tabelloni dello stadio mostrarono il suo volto piangente dopo il 3-0 subìto dai giallorossi. 'Don Andres' aveva capito che quella era stata la sua ultima partita in Champions, dopo che in tutto con la maglia del Barça ne ha giocate finora 669 fra campionato e coppe varie, vincendone 456, segnando 57 reti, conquistando 31 titoli (32 con la Liga che sta per finire) ed esibendo ogni volta fair play. Al calcio che conta Iniesta mancherà di sicuro.
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