ROMA. Ecco, ora bisognerebbe essere a Maranello. Non a Melbourne ma li’ al centro della pianura Padana, fra la via Emilia e il west. E resisto alla tentazione di andare su Google a vedere com’è adesso Maranello. Potrei farlo, la tecnologia me lo consente ma io preferisco immaginarmela, Maranello.
Mi piace pensare che sia ancora fredda, anche se è già primavera. Che ci sia qualcuno che esce da casa imbacuccato di rosso e corra verso il bar in piazza. Ce n’è uno chiamato Il Drake. Io sceglierei quello. E starei lì a ciarlare per ore, davanti a uno, due, mille caffè e con quelli che hanno quella stessa voglia li’, di parlare e capirsi. Perché, ragazzi, c’è una cosa di cui bisognerebbe parlare. E non è quest’alba rossa che pure ricorderemo a lungo. È il pomeriggio nero di ieri. Perche’, sia chiaro, sabato era andata malissimo. Ma il punto è proprio questo: neanche Hamilton può toglierci il sorriso dal volto. Voleva farlo ma non si può. Forse a Hollywood, non nel cuore dell’Emilia, in Italia.
E non perché in Ferrari ci siano sbruffoni. No, Hamilton non sa cosa significa essere ferraristi. C’è una interra generazione, diciamo quella che ha fra i 40 e i 50, che ha visto più sconfitte che vittorie. Ok, va bene, ci sono stati gli anni di Schumacher, ma in mezzo anche 21 anni in cui vedevamo una McLaren o una Williams, e spesso anche una Lotus, doppiarci. E mai, nessuno, ha perso il sorriso dal volto. Delusi, ovvio, ma orgogliosi lo stesso. Amanti di uno sport di cavalieri e per cavalieri. Fieri di esser parte di un mito che tanto ha dato per rendere magico l’automobilismo e romantiche le corse. Essere ferraristi vuol dire crederci, sapere di poterci riuscire, sempre. Anche negli anni in cui si partiva in quarta fila, figurarsi dopo un sabato come quello di ieri.
Perché c’è un senso profondo nella vittoria di Melbourne. E’ la vittoria di un tipo di italiani che non sta solo a rammaricarsi, non protesta e basta, non impreca e non molla, ci prova, ci prova sempre. E dirlo oggi, mentre c’è un mondo che preferisce, protestare, indignarsi, maledire e via così piuttosto che fare, inventare, reagire e mille altri migliori infiniti. Beh, dirlo oggi è più bello. E per questo bisogna dirlo.
E mi piacerebbe essere a Maranello, per vedere cosa ne pensano gli anziani dopo un’alba così, quelli che magari Ferrari lo ricordano davvero sulla via Emilia con una macchina appena uscita dalla fabbrica. Si’, si starà per ore in piazza a Maranello oggi, ne sono sicuro. Ricordando storie, eroi, leggende. Iniziando sempre con un “c’è anche quella volta li’, quella che Clay... quell’altra in cui Jody... e poi quando Gilles... e Michele”. Gia’, c’è stato anche un Michele prima di Michael.
E si ricorderà questa cosa qui a Maranello, ci scommetto: alla Ferrari si tifa sempre per la macchina. Potrebbe venire un giorno in cui dentro a quell’abitacolo potrà esserci anche Hamilton. E conoscerà quel sorriso, se imparerà a riconoscerlo in chi attorno a lui non molla mai. Ne’ se lo fa togliere tanto facilmente.
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