ROMA. Sfocia in un'azione d'indagine della Procura antidoping di Nado Italia nei confronti dei nuotatori azzurri Filippo Magnini e Michele Santucci un'inchiesta della Procura di Pesaro riguardante sostanze dopanti e medicinali che sarebbero stati commercializzati da un medico nutrizionista. A giugno i magistrati inquirenti trasmisero gli atti all'antidoping che ha dato così il via alla sua attività sulla base di due ipotesi d'accusa piuttosto pesanti: a Magnini si contesta la violazione degli articoli 2.2 (uso o tentato uso di sostanze dopanti) e 2.9 (favoreggiamento) del codice Wada, l'agenzia mondiale antidoping, mentre a Santucci la violazione sarebbe riferita solo al primo. "L'accertamento Nado è un atto dovuto. Si faccia chiarezza", commenta il campione su Twitter. "Alcuni dei prodotti sequestrati - aveva precisato lo scorso giugno la Procura di Pesaro, riferendosi a Magnini - furono offerti all'atleta; in base alle evidenze di indagine, non risulta siano stati assunti". "Ritengo l'apertura degli accertamenti Nado un atto dovuto rispetto alle indagini penali su Porcellini - è quanto afferma oggi il due volte campione del Mondo nei 100 stile libero -. Gli inquirenti penali hanno già accertato la mia estraneità ai fatti". Una posizione che ribadisce quanto detto il giorno della trasmissione degli atti da Pesaro alla procura antidoping: "Sono sereno, anzi sono contento - disse -. Il magistrato conferma pienamente la mia trasparenza, come anche le analisi ematiche e antidoping alle quali mi sottopongo da quando avevo 18 anni, risultate tutte negative". Ora per il campione mondiale e per il velocista Santucci, suo compagno in tante staffette azzurre e il cui nome allora non era emerso, c'è comunque da affrontare una nuova indagine. L'inchiesta pesarese aveva preso il via lo scorso anno, dopo un normale controllo dei Nas in un centro fisioterapico di Pesaro, dove lavorava il medico Guido Porcellini e dove aveva sede una societa' ciclistica. I carabinieri vollero approfondire, proprio per la presenza della societa' nel centro, portando alla luce la presunta attivita' illecita che coinvolgeva anche il dirigente Antonio Maria De Grandis, il quale, secondo gli investigatori, avrebbe gestito gli "acquisti, soprattutto dalla Cina, i rifornimenti e le cessioni dei prodotti". I destinatari dei prodotti erano persone residenti in varie parti di Italia e pazienti del medico e nell'ambito delle indagini emerse anche il nome di Magnini.