ROMA. Usain Bolt non è più il re, viva il re. Il nuovo-vecchio re, il 35enne Justin Gatlin, oro dei 100 metri già alle Olimpiadi 2004 e ai mondiali di Helsinki del 2005, vince lontano dalle pressioni che tante volte lo avevano condizionato al cospetto del giamaicano, imponendosi in 9.92 (vento 0.8) dopo una portentosa rimonta sullo stesso Bolt e soprattutto sul connazionale Christian Coleman, il migliore allo start e ripreso solo alla fine, argento in 9.94. Per Bolt, partito ancora una volta in maniera non ottimale, il tentativo disperato di prendersi l'ultimo oro dei 100 metri di una carriera senza eguali (sarebbe stato il quarto su questa distanza), ma il Bolt di oggi non era l'imbattibile astro dell'ultimo decennio. La sconfitta, l'ex dopato Gatlin gliel'ha resa più dolce, inchinandosi dopo il traguardo per rendergli omaggio. Il lungo abbraccio e il parlottare sorridente tra i due è stata una bellissima immagine che pone fine a una competitività, dura e non priva di tensioni in passato, ora semplicemente sportiva. Bravi tutti e due, bravo Coleman, bravi tutti. Bravo anche Bolt, che corre la finale più lenta della propria carriera, un 9"95 che comunque eguaglia il suo miglior 100 dell'anno. Questa finale dice anche che gli Usa tornano a far doppietta sui 100 metri dopo sedici anni. Ai mondiali non succedeva dall'edizione di Edmonton 2001. Giù dal podio il campione del mondi di Daegu, Yohan Blake, quarto in 9.99, quinto il sudafricano Simbine in 10.01, il primo finalista del suo paese nella storia dei 100 metri iridati. Adesso a Bolt per chiudere con un oro la sua carriera da marziano dell'atletica rimane la gara della staffetta 4X100, tra una settimana, intanto deve incassare questa sconfitta che lo rende di nuovo improvvisamente umano ma non ne diminuisce il fascino. Sarà anche che questa era la sua ultima gara individuale, fatto sta che il pubblico lo festeggia e impazzisce per lui come sempre. E lui ricambia con mosse, sorrisi e smorfie, arrivando a mettersi sulle spalle, in omaggio a Londra, la bandiera britannica anziché quella della Giamaica. Scene che fanno da stridente contrasto a quelle vissute dal vincitore, quel Justin Gatlin che ha pagato con anni di stop il suo oscuro passato, ma al quale il pubblico non ha risparmiato fischi e ululati fin dalla sua prima apparizione nello stadio londinese situato nel parco intitolato alla Regina Elisabetta. Ecco perché, dopo aver battuto Bolt e prima d'inginocchiarsi davanti alle leggenda della Giamaica, Gatlin non ce la fa a trattenersi e fa il gesto di zittire i tifosi sugli spalti. L'americano, commosso fino alle lacrime, torna ad essere campione del mondo, e a 35 anni, quattro più di Bolt che invece si ritira perché non ha più stimoli avendo vinto tutto. La fine del grande giamaicano è quindi un po' malinconica, non tanto per questa debacle imprevista ma per il fatto che solo ora ci si comincia a rendere conto di cosa abbia perso lo sport, e non solo l'atletica di cui Usain è stato l'icona.