PALERMO. Per sua stessa ammissione, Enzo Ferari fu fregato una sola volta nella vita. E a riuscirci fu un catanese che nel 1920 era fra i più importanti dirigenti dell’Alfa. Si chiamava Giorgio Rimini, era un ingegnere, e nel bene e nel male a Ferrari insegnò una cosa molto importante per il futuro: i contratti si leggono fino alla fine e anche nelle parti scritte con caratteri minuscoli.
Per raccontare questa storia bisogna andare indietro di quasi un secolo. Nel 1920 Enzo Ferrari è un giovane che da un anno, scampato alla Grande Guerra, ha deciso di cimentarsi con le corse sulle auto. Un futurista, Ferrari. Uno che si era innamorato di quel marchingegno a quattro ruote che sarebbe diventato il simbolo del secolo appena iniziato.
Nel 1920 Ferrari inizia a correre con delle Alfa e ottiene qualche buon piazzamento. Tuttavia a Brescia per evitare una mandria di buoi che attraversava la strada in cui si correva, Ferrari esce di strada e distrugge la macchina. A quel punto Ferrari, come altre volte farà nella vita, decide di alzare la posta. E si presenta a Milano da Giorgio Rimini, che all’epoca gestiva l’attività sportiva dell’Alfa, per acquistare una macchina speciale: la G1 sei cilindri sei litri, una vettura avveniristica per quei tempi.
La storia di quella trattativa fra Ferrari e Rimini è raccontata da Leo Turrini in «Un eroe italiano» (Longanesi editore), la biografia del Drake appena ripubblicata per celebrare i 70 anni del Cavallino: «Rimini preparò un bel contrattino, lo fece firmare all’impaziente Ferrari, intascò una lauta caparra e quindi con uno smagliante sorriso, invitò il rampante modenese ad attendere fiducioso la consegna del bolide». Passarono mesi e quella macchina in parte già pagata non arrivava.
È ancora Turrini a raccontare che il futuro Drake si presenta per questo motivo di nuovo a Milano dal catanese Rimini: «Ha notizie della macchina che mi ha venduto?». La risposta è glaciale: «Giovanotto, lei il nostro contratto lo ha letto bene?». Fra le clausole finali c’era scritto: «Consegna il più presto possibile e anche prima».
Nelle sue memorie Ferrari annoterà: «Rimini riuscì a non consegnarmela mai grazie a una serie di spiritosi accorgimenti». Passeranno gli anni e quell’ingegnere catanese diventerà comunque un alleato di Ferrari: lo aiuterà a dar vita a una sua scuderia impiegando le migliori macchine dell’Alfa e saranno gli albori della Ferrari che oggi conosciamo. In quello stesso 1920 a bordo di un’Alfa, Ferrari si classificò secondo alla Targa Florio. Ma questo è un altro capitolo della storia che unisce il fondatore del Cavallino alla Sicilia.