SANREMO. Astuzia, gamba e sangue freddo. Nella vittoria di Michal Kwiatkowski alla 108/a edizione della Milano-Sanremo sono racchiusi tutti gli ingredienti contenuti nel ricettario del perfetto ciclista. C'è la furbizia di sfruttare il lavoro di Sagan dal Poggio al traguardo, dosando le energie e limitandosi a dare al campione del mondo un solo breve cambio in discesa; c'è la condizione, perché resistere, seppur a fatica e grazie alla ricucitura di Alaphilippe, al micidiale attacco dello slovacco dopo 285 km di corsa è roba per pochi eletti; c'è poi una sana dose di fegato nell’evitare di farsi risucchiare nella trappola della volata lunga a rischio di perdere senza nemmeno giocarsela ma avendo così il guizzo in extremis per bruciare al millimetro il ben più veloce Sagan.
È la vittoria della strategia. Sagan è il fuoriclasse, Kwiatkowski è il cinismo. Sagan è il corridore contro cui tutti si alleano ad ogni corsa per non partire battuti, Kwiatkowski è invece buono per tutte le stagioni. Fa il gregario quando deve ma sa anche vincere da capitano. Va forte a cronometro e nelle corse di un giorno, nei percorsi vallonati e quando la strada si trasforma in insidioso pavé. Così il palmares diventa ricco: un campionato del mondo (2014), una Amstel Gold Race (2015), una E3 Harelbeke (2016, proprio davanti a Sagan), due Strade Bianche (2013 e 2017) e ora la Sanremo. Non piange nemmeno, non si commuove mentre realizza di aver vinto la sua prima Monumento, quella che apre la stagione del grande ciclismo di Primavera. Tira dritto verso la fidanzata Agata per stamparle un bel bacio.
«Vincere la Milano-Sanremo è una sensazione incredibile», le sue prime parole con ancora il fiatone. Ringrazia tutti da prassi perché il ciclismo è uno sport di squadra in cui vince l'individuo: il ritmo costante del suo Team Sky sull'attacco del Poggio evita scatti che restano sulle gambe. Poi parte Sagan e lui non ci pensa due volte, liberato dai compiti di gregariato dal capitano designato Viviani. «Non mi aspettavo l’attacco il suo attacco - aggiunge il polacco -, è partito mantenendo una velocità elevatissima. Non posso credere di averlo battuto». E' una sfida che va avanti da tempo immemore, quando i due si sfidavano da juniores con i segni del campione scritti nel dna.
Sagan dal canto suo non si può rimproverare nulla: ha annichilito i velocisti quando le medie orarie basse e una Cipressa affrontata al rallentatore sembravano condurre ad un epilogo in tonnara. Paga forse la troppa generosità, di aver portato il gruppo a tre a testa bassa fino al traguardo. «Sono abituato ai secondi posti ormai - si rammarica - ma ora mi aspettano altri obiettivi. È andata come è andata, è un peccato. Potevo fare qualcosa di diverso nel finale? I risultati non contano, importante è fare spettacolo per la gente». Proverà a smaltire la delusione tra due settimane al Giro delle Fiandre.
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