Lunedì 23 Dicembre 2024

Rio, ancora delusione Pellegrini: niente finale per la staffetta

RIO DE JANEIRO. Ancora un tunnel, di nuovo un buco nero in cui la maledizione olimpica l'ha ricacciata dentro. Federica Pellegrini non vuole dire addio al nuoto, almeno non vuole farlo così, tra le lacrime: ma certo la delusione per quel podio mancato nei 200 stile, e poi l'eliminazione nella staffetta a poche ore dal primo choc, è un dolore che anche per una fenice come lei, abitata a rialzarsi e rinascere ogni volta, difficilmente andrà via. Era successo a Londra nel 2012 e il tonfo aveva fatto clamore; allora si era fatta da parte per un periodo, ma aveva promesso di riscattarsi a Rio. In Brasile però la sconfitta sa di crepuscolo, e pensare di arrivare a Tokyo quando avrà 32 anni è davvero difficile. La campionessa dell'acqua, che ad Atene a sedici anni regalò un argento al nuoto rosa che mancava da troppo tempo, la stessa che a Pechino si consacrò con un oro da record, alle Olimpiadi, dopo di allora, ha sempre fallito: "La sconfitta nei 200 mi ha fatto vedere tutto nero, nerissimo - dice quando la rabbia ha lasciato un po' di spazio alla riflessione - e ho detto 'basta'. Ma non voglio smettere piangendo, non voglio finirla così". Lo ripete come un mantra, e sa che il film che sta rivedendo ha un finale più amaro di quello di quattro anni fa: allora si era presa una pausa di riflessione, con la consapevolezza che un'altra chance ai Giochi c'era. A Rio, appunto. Ma adesso che anche dal Brasile torna via senza niente la prospettiva è più dura: per i prossimi Giochi la strada è lunga, e la vita in acqua troppo faticosa per reggere ancora. Lo fa capire lei stessa, che in una notte è passata dalla voglia di dire addio al nuoto, a pensieri meno definitivi. In mezzo però tanta rabbia, che non riesce a trattenere: "Ho 28 anni, se ancora si dice che subisco la gara di testa, tiro cazzotti a tutti" la risposta scomposta dell'azzurra. E i nervi restano tesi anche quando decide di rinunciare alla gara dei 100 stile, mentre si presenta ai blocchi delle batterie della 4X200. "Usate il buon senso - il post decisamente sopra le righe sui social - non faccio i 100 semplicemente perché subito dopo c'è la staffetta". E intanto però dà del "coglione" a un follower che invece la invitava a non dare forfait. Aveva parlato di "incubo", si era sentita "morta": le riflessioni amare l'avevano spinta a scrivere "forse è tempo di cambiare vita: fa così male questo momento che non potrei descriverlo. Non è un dolore di uno che accetta quello che è successo, anzi è un dolore di una che sa cos'ha fatto quest'anno, la determinazione che ci ha messo, il mazzo che si è fatta". Poi torna in acqua ci mette di nuovo la faccia: "Il nuoto mi piace, i 200 sono la mia gara, il mio cuore, prima di dire basta devo pensarci bene - sottolinea - Ho pianto tanto e non voglio che finisca così. E' brutto sentirsi come se ti avessero appena preso a pugni, un male così poche volte l'ho sentito. Ho detto basta, perché mi ero ripromessa di non vivere più delusioni così. Non voglio però che finisca così. Le mie Olimpiadi sono chiuse. Se sono le ultime? Non voglio decidere adesso, certo avrei 32 anni". E allora torna l'idea-scappatoia di fermarsi per un po', una nuova pausa di riflessione: dall'altra l'olimpionica era tornata e si era ripresa medaglie e speranze. "Fermarmi per un periodo è un'ipotesi. Potrei dare arrivederci e tornare tra un po', ma adesso non ho una risposta". Fuori dalla piscina la campionessa negli anni si è guadagnata fama, riflettori, copertine e sponsor. E quelli resteranno, come gli ori e i successi sportivi. Certo ai Giochi la Fede nazionale non ha raccolto quanto avrebbe voluto: in quattro edizioni, in dodici anni, sono stati delizia ma anche croce. L'hanno lanciata tra i grandi e poi ricacciata nell'ombra: voleva far sentire di esserci ancora, che poteva se non battere almeno restare attaccata alla carica delle giovanissime - Katie Ledecky è volata verso l'oro nei 200 senza mai il timore di perderlo. E invece non è stato così: si chiude ancora un ciclo, finisce un sogno. Resta la cartolina di quella breve passerella al Maracanà, da portabandiera dell'Italia. Poi solo lacrime e dolore, per dire basta, o lasciarsi solo risucchiare un po' e poi riemergere.

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