BORDEAUX. «Noi del calcio viviamo per provare momenti come questi: ho detto ai miei giocatori che dobbiamo cavalcare l'onda emotiva per provare a compiere l'impresa e diventare grandi». La vigilia più lunga per Antonio Conte scorre tra 'semplicì problemi di formazione (De Rossi è praticamente fuori, sarà già un successo portarlo in panchina, «Ma chi lo sostituirà sa come affrontare determinate situazioni di gioco») e questioni epocali: «Con i tedeschi - ammette per la prima volta in questo europeo, palesando una prudenza confinante con la rassegnazione - è la sfida più dura, sono i più forti al mondo, noi siamo già andati oltre il tunnel della mancanza di talento del calcio italiano di questi anni. E ci siamo riusciti grazie al lavoro di 23 splendidi ragazzi». Ecco, il lavoro: e la dedizione. Sono queste, e certo non la cifra qualitativa, le armi di Conte per affrontare una gara tecnicamente da tutti considerata impari: connotata però di suggestioni che la rendono storicamente indecifrabile. La partita infinita tra Italia e Germania infatti va avanti da una vita in tutti i campi: senza scomodare il Piave e l'otto settembre, a dividere i due paesi bastano letteratura, cinema, musica, diritto, per non parlare della Merkel e del suo rigore, che non è quello calcistico ma sembra fischiato da un arbitro non precisamente imparziale. Lo spartiacque, la metafora di tutto, è però da 46 anni indiscutibilmente proprio una partita di pallone: Italia-Germania4-3, declinata tutto attaccato, è gara di calcio che si fa punto fermo della memoria. È la vita condensata in 120 minuti e a deciderla fu Gianni Rivera con una giocata istintiva e geniale come sanno esserlo spesso nella vita di tutti i giorni gli italiani. Molto meno, però, nel calcio di adesso. Ma c'è un punto di contatto tra quell'Italia e gli azzurri che domani sfideranno i campioni del mondo a Bordeaux: come quell'Italia dell'Azteca, la squadra di Conte gioca senza risparmio e calcoli ed offre spettacolo ed emozioni. Basterà domani? «Loro - ribatte il ct - hanno tutto quello che può avere una squadra forte: tecnica, talento, fisicità, organizzazione di gioco. Dovessimo tornare a un mese fa non ci sarebbe partita, oggi siamo qui a giocarcela. Avremo grandissime difficoltà, ma - si riprende - nessuno parte battuto, abbiamo le nostre conoscenze e le nostre certezze. Rispetto all'amichevole persa 4-1 a fine marzo loro sono cresciuti ulteriormente, noi pure però: e tanto». Nega segnali di appagamento nel gruppo azzurro. E si innervosisce quando qualcuno gi chiede se non tema di avere «stressato» troppo i giocatori. «Non so se avrebbero preferito stare a casa: se devo stare attento a non stressarli...Qui ci sono problemi ben più gravi. Tanti diffidati? Non è una preoccupazione, tanto non c' è domani per chi perde». Appunto, e per lui - nel caso malaugurato - in azzurro ce ne sarebbe ancora meno. L'avvenire è il Chelsea. Per questo chiude a futura memoria prima di andare a vivere con il gruppo azzurro la sua vigilia più lunga: «A inizio europeo avevamo poca credibilità a parte di tutti, non solo da parte dei giornalisti italiani. Però grazie a 23 splendidi ragazzi che lavorano insieme e si aiutano stiamo superando ostacoli insormontabili. Perchè non credere di farcela anche con questo? Basta fare qualcosa di Superstraordinario». Dice proprio così: e con la tenacia che mette nel tentativo di motivare i suoi contro i titani tedeschi si merita il perdono per il neologismo.