LONDRA. Per una sera tutto il mondo sul podio, e non c'é razza, debito estero o spread che tenga. E' il miracolo olimpico che si ripete ogni quattro anni per la cerimonia di apertura dei Giochi: sfilano insieme e si abbracciano migliaia di atleti e dirigenti di tutta la terra, mentre qualche fuso orario più a Est, in Siria o in Afghanistan, la tragedia della guerra profana una tregua che dura dall'antichità.
Così quando Alexandros Nikolaidis, portabandiera greco (verso gli ellenici è l'olimpismo a sentirsi in debito, l'onore di sfilare per primi spetta a loro), apre la passerella del mondo dai valori giusti, sembra venire giù lo stadio dagli applausi. Per una sera tutti guardano a lui più che ai Grandi della terra, in tribuna a fare da corollario ai veri protagonisti dei Giochi.
Passa impettito sotto gli occhi della regina Elisabetta (che si regala un gran cammeo interpretando se stessa in un filmato della serata, ma poi cede la ribalta agli atleti) e soprattutto di Joachim Gauck, presidente di quella Germania che ha stretto sugli aiuti alla sua terra, e il politico di lungo corso sembra improvvisamente piccino al suo confronto. Via via scorrono tutti gli altri, le 205 nazioni che fanno di questa Olimpiade una rappresentanza più ampia dell'Onu.
C'é suspense per l'Argentina, nemica storica della Gran Bretagna per la vicenda delle Falkland-Malvinas, invece giù applausi. Un boato per l'Australia. Il serpentone verdeoro del Brasile dietro Rodrigo Pessoa, campione dell'equitazione, applausi, e quello chic francese (giacca blu e pantaloni bianchi), ancora applausi.
Gli atleti di Bermuda in mutandoni, lo dice la parola, ed altro folklore con il gonnellino dei samoani ('ooooh' dalle tribune). Tutti in piedi a battere ritmicamente le mani quando arriva il Canada. La Repubblica Ceca, ruffiana e spiritosa, ha le calosce con i colori dell'Union Jack. Ancora qualche velo e molte minigonne, i vestiti tribali di Burkina Faso, Burundi e Camerun e la gente si sbraccia.
Commozione però quando Israele, compostamente ma fermamente, ricorda le vittime di Monaco '72, il tempo in cui l'Olimpiade fu trasformata in dispensatrice di morte e non di medaglie. Un fazzoletto nero in segno di lutto al taschino della giacca, per contrastare l'ipocrisia del Cio che di quella tragedia non voleva segni in questa serata. Ma ecco l'Italia, stretta tra l'emozione mesta trasmessa da Israele e quella gioiosa per la Giamaica del portabandiera che è il simbolo di tutta l'Olimpiade, Usain Bolt: lo stadio freme in sua attesa ma riserva a Valentina Vezzali, trasfigurata per l'emozione, e ai suoi 141 compagni (tra loro sei medaglie d'oro olimpiche (Sensini, Cammarelle, Cassarà, Quintavalle e le pallanuotiste Di Mario e Gigli) battimani scroscianti.
Poi tocca a Bolt, ed è davvero un lampo di gioia per tutti. Sarà pure vero che il padre delle Olimpiadi moderne, De Coubertin, non l'ha mai detta, quella frase. Ma è bello crederci ancora: ad una festa così l'importante è partecipare.