L’argomento marziani da circa un secolo e mezzo ha dato libero spazio alla fantasia e stimolato letteratura e cinema sulla presenza di vita su Marte: omini verdi, extraterrestri, alieni. Una storia affascinante, che forse riserva scenari inaspettati sulla nascita della vita sulla Terra. Famoso il romanzo di Herbert George Wells La guerra dei mondi pubblicato in nove puntate dal londinese Pearson’s Magazine nel 1897. La trasposizione radiofonica del lavoro di Wells, venne talmente interpretata bene, verso la fine del 1938, dal famoso attore Orson Welles, da suscitare il panico tra la popolazione di Londra, che ritenne di trovarsi in presenza di un’invasione marziana. Negli anni che seguirono, l’obiettivo dei ricercatori è stato quello di capire di più sul Pianeta Rosso (il colore è dovuto alla presenza di minerali di ferro ossidati) e cercare in esso possibili forme di vita. La domanda è stata sempre la stessa: «Possibile che la vita nell’immenso spazio del sistema solare e interstellare si sia sviluppata solo sulla terra? E come?». Ecco che un’ipotesi ha scatenato assertori e contrari, cosa sempre accaduta a ogni scoperta scientifica. In poche parole: se i marziani fossimo noi? Se la vita terrestre si fosse sviluppata prima su Marte per poi arrivare sulla terra? La teoria, indicata da molti scienziati come plausibile, prende piede dal ritrovamento nell’Antartide, nel 1984, di un meteorite proveniente da Marte (ALH 84001), la cui età viene fatta risalire a quattro miliardi di anni fa. Quale la certezza della sua provenienza dal Pianeta Rosso? Le analisi chimiche dimostrano che gli elementi di cui il meteorite è composto equivalgono perfettamente a quelli inviati sulla Terra dai lander Viking 1 e 2 spediti dalla Nasa (l’agenzia governativa americana responsabile dei programmi spaziali) su Marte alla ricerca di tracce di vita. Il meteorite marziano viene posto in ambiente sterile. E lì rimane per quasi dieci anni. Un bel giorno, un’équipe di geologi planetari della Nasa, decide di analizzarne l’interno e subito si accorge di «strane» presenze. Dopo due anni di lavoro, di prove e controprove attuate nel più assoluto riserbo, gli esperti in chimica organica, microbiologia, mineralogia, geochimica, tecniche analitiche, annunciano il ritrovamento di fossili di batteri che risalirebbero a tre miliardi e trecento milioni di anni fa. Ma non tutta la comunità scientifica è d’accordo. Interviene l’esperta di microscopia elettronica, Kathie Thomas-Keprta, che presenta elementi che confermano la presenza di materiale batterico nel meteorite ALH 84001. Ma neanche ciò basta a placare la polemica. Oggi c’è qualcosa di nuovo. Le diverse missioni su Marte, hanno messo in luce che il clima e la chimica di quel pianeta, quattro miliardi di anni addietro, erano favorevoli alla nascita della vita, più di quanto non lo fosse sulla Terra, eccessivamente calda e quasi interamente ricoperta da oceani. La Nasa, dopo i Viking 1 e 2 e altre sonde, invia su Marte due navicelle spaziali gemelle, Spirit e Opportunity, rover costruiti per eseguire analisi geologiche su due distinte parti del pianeta. Il risultato è inaspettato: un tempo quel pianeta era ricco d’acqua e possedeva tutte le condizioni necessarie alla vita. Spirit scopre, nella zona denominata Home Plate un deposito vulcanico, originato da una forte eruzione generata dall’azione di acqua sotterranea, la presenza di silice pura al 90%, materiale che da noi viene utilizzato per produrre il vetro e che si sviluppa per azione vulcanica o in presenza di calde sorgenti termali. Alle scoperte su Marte delle due navicelle gemelle, si aggiungono quelle del rover Curiosity (17 telecamere e un braccio robotico), che trasmette dati dal cratere Gale al centro del quale sorge l’Aeolis Mons un tumulo stratificato che si eleva per 5 chilometri e mezzo sopra il fondo del cratere. La navicella in un luogo chiamato Yellowknife Bay, trova prove di un ambiente remoto adatto alla vita e «testimonia» la passata presenza di un grande lago di acqua dolce. La vita su Marte si sarebbe estinta a seguito di diverse ere glaciali estreme (si calcola intorno a quaranta) negli ultimi cinque milioni di anni, ma nessuno oggi esclude che qualche traccia sia rimasta, partendo dal principio che la vita, una volta attivata, trova sempre il modo di svilupparsi anche in ambienti che noi reputiamo inospitali. Un fatto ormai certo è che Marte ha vissuto epoche in cui per le sue condizioni poteva ospitare la vita. E ora, per gli scienziati favorevoli, è più facile accreditare le conclusioni sul ritrovamento di batteri su ALH 84001, riportando le parole di Steven Benner, noto nell’ambiente scientifico per essere riuscito ad aggiungere al codice genetico nuove «lettere» sintetizzate in laboratorio: «In realtà - dice Benner - sembra che siamo tutti marziani, perché la vita potrebbe avere avuto inizio su Marte e arrivata sulla terra trasportata da una roccia». Nella foto Perseverance, l’ultimo gioiello inviato dalla Nasa su Marte a caccia di segni di vita