Voracissimi e carnivori, capaci si rigenerarsi quando vengono spezzati in due, hanno aculei con tossine urticanti e sono predatori insaziabili: i vermocane, noti anche come vermi di fuoco, si sono moltiplicati a causa del caldo e sono ormai diventati un serio problema sia per le specie che popolano le riserve marine, come i coralli, sia per i pescatori, che nel giro di una notte possono ritrovarsi con le reti saccheggiate. Per questo sono nel mirino dei biologi del laboratorio che l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste ha aperto a Panarea e a Milazzo.
I vermocane, il cui nome scientifico è Hermodice carunculata, «sono una specie endemica del Mediterraneo e in passato la loro popolazione era sotto controllo, ma con le ondate anomale di caldo degli ultimi due-tre anni i vermocane si sono moltiplicati a dismisura e mangiano di tutto. Capita di trovarli anche fino a riva», dice Michela D’Alessandro, che con i colleghi dell’Ogs Valentina Esposito e Marco Graziani sta studiando questa specie.
Fino a poco tempo fa, infatti, i vermocane erano numerosi solo nel canale di Suez, ma adesso che l’acqua del Mediteranneo si sta riscaldando, sono aumentati notevolmente nei mari di Sicilia, Calabria e Puglia, al punto da rendere necessaria una campagna per informare popolazione e turisti su questa nuova insidia. E’ un progetto dell’Ogs, condotto in collaborazione con le Università di Modena e Reggio Emilia, di Catania e di Messina, Ispra e l’Area Marina Protetta di Capo Milazzo.
Coloratissimi e lunghi in media fra 20 e 30 centimetri, in alcuni casi i vermocane possono raggiungere il metro. Quanto possano vivere non è noto e l’esemplare più antico finora osservato aveva otto anni. «Hanno nelle setole tossine urticanti che generano edemi,e pruriti», ha detto ancora la ricercatrice.
Le loro tossine sono oggetto di studio: «siamo arrivati a caratterizzare una sostanza irritante, ma siamo ancora lontani anni luce dal pensare a eventuali rimedi contro le punture, osserva Roberto Simonini, fisololgo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha isolato le sostanze tossiche prodotte dai vermocane. «Se la puntura avviene in punti in cui la pelle è spessa - aggiunge Simonini - si sente un bruciore localizzato, simile a quello provocato dall’ortica, ma se vengono punte zone in cui la pelle è più sottile, come l’incavo del gomito o quello del ginocchio, allora il dolore è decisamente forte e duraturo. Nel caso di una puntura ai polsi, per esempio, si può avvertire un intorpidimento alle estremità delle dita e può essere necessaria una pomata al cortisone».
A sperimentare le punture sono soprattutto i pescatori, quando si trovano a dover liberare le reti, letteralmente invase da questi predatori. «Venti anni fa capitava di vedere un vermocane ogni tanto, ma da un paio d’anni è molto frequente avere a che fare con loro», dice Carmelo Salmeri. «I vermocani si mangiano il pesce che è ammagliato; se succede la sera, la mattina si trovano gli scheletri».
In alto il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)
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